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La sanzione per infedele dichiarazione assorbe anche quella per l’omesso versamento del tributo

In caso di avviso di accertamento a rettifica per infedele dichiarazione IVA la sanzione di riferimento prevista dall’art.5 del D.lgs. N°471/1997 assorbe anche quella conseguenziale relativa all’omesso versamento del tributo in questione precludendo ciò l’irrogazione di un’ulteriore sanzione prevista dall’art.13 dello stesso D.lgs.n°471/1997. E’ quanto ha disposto la Corte di Cassazione – Sezione V in concomitanza della Sentenza n°27963 del 07 dicembre 2020. Si tratta di una casistica  IVA in cui le due violazioni tributarie richiamate sono entrambe riconducibili ad uno stesso comportamento assunto dal soggetto passivo d’imposta e, pertanto, cumulabili. Ne deriva che, l’irrogazione della sanzione prevista in caso di denuncia infedele  che  dal 50% al 100% del tributo non versato, riducibile ad un terzo in caso di definizione agevolata del contribuente, ingloba anche la violazione per omesso/parziale versamento del tributo. Si tratta di un principio  generale palesato dagli Ermellini con riferimento ad una casistica IVA ma che è estensibile a tutto il sistema sanzionatorio tributario; principio che trova la sua ratio anche quale diretta  conseguenza del principio del favor rei recepito in toto dai Dlgs n.ri 471/472/473 del 1997.


 

Il caso:

La controversa in questione rinviene da un avviso di accertamento IVA notificato dall’ ADE per infedele dichiarazione con contestuale irrogazione di sanzione,  a cui faceva seguito  un distinto atto di contestazione dell’ufficio in cui veniva rilevato l’omesso versamento dell’imposta, già oggetto di accertamento ex ante, con relativa irrogazione della sanzione prevista dall’art.5 del D.lgs.n°471/1997. In altre parole, l’ADE aveva irrogato  in concomitanza dell’avviso di accertamento IVA la sanzione per dichiarazione infedele a cui faceva seguito la sanzione per omesso versamento ex art.13 del D.lgs.n°471/1997 pari al 30% dell’imposta non versata.

Due provvedimenti sanzionatori riconducibili ad una stessa condotta omissiva del soggetto passivo IVA. La doppia sanzione veniva contestata dal contribuente in sede di legittimità ritenendo, il ricorrente,  la prima cumulativa anche della seconda riconducibile, quest’ultima,  ad un comportamento omissivo strettamente collegato alla dichiarazione infedele presentata dal contribuente soggetto passivo IVA.

 

Il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 27963 del 07/12/2020

La Corte di Cassazione in occasione della  sentenza n. 27963 del 7.12.2020  in commento ha affermato il principio secondo cui “risulta incontestato che l’Agenzia delle entrate ha applicato, con l’avviso di accertamento la sanzione prevista dall’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997 che viene irrogata nella ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto, e, con l’atto di contestazione successivo abbia irrogato al soggetto passivo IVA,l’ulteriore sanzione pari al 30 per cento del tributo non versato prevista dall’art. 13 dello stesso decreto legislativo che colpisce chi non effettua nei termini previsti ex lege  i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o saldo dell’imposta risultanti dalla dichiarazione.

Il tenore letterale delle due previsioni normative entrambe riconducibili al D.lgs.n°471/1997  in tema di sanzioni tributarie, evidenzia chiaramente che con la prima previsione (art.5) viene punita la “dichiarazione infedele”, configurabile allorquando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, richiamando in denuncia importi non attendibili; omettendo pertanto non solo di dichiarare le  somme  effettivamente dovute nell’anno di competenza, ma, anche di  versare le relative imposte di riferimento. La seconda previsione normativa (art.13) sanziona il mancato versamento delle imposte, violazione tributaria che è la  diretta conseguenza della inattendibilità della dichiarazione IVA) così come presentata dal contribuente per l’anno d’imposta considerato.

In particolare, la previsione normativa  di cui al richiamato ’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 si riferisce, in particolare, sia ai casi di omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione, sia ai casi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile.

La disposizione in esame non sanziona, dunque, il semplice “omesso versamento” dell’imposta, ma piuttosto la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l’importo dichiarato non sia stato successivamente versato. E’ evidente, pertanto, che, ai fini dell’irrogazione della sanzione in esame, non rileva il fatto che l’imposta dovesse risultare dalla contabilità del contribuente, richiedendo espressamente l’art. 13 del D.lgs.n°47171997 sopra richiamato che l’imposta risulti “dalla dichiarazione” e dai dati in essa contenuti poiché è soltanto con la dichiarazione che il contribuente comunica all’Erario l’imposta dovuta provvedendo al successivo versamento;diretta conseguenza in termini di congruità di una dichiarazione attendibile e veritiera che pertanto rispecchia fedelmente il quadro  contabile – reddituale del contribuente

 Pertanto, con riferimento alla casistica IVA posta al vaglio dei giudici di Legittimità, da quanto sopra evidenziato discende che, laddove il mancato versamento dell’ I.V.A. sia una diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione IVA dell’importo riconducibile all’imposta effettivamente dovuta, tale comportamento omissivo in termini di versamento del tributo è da considerare diretta conseguenza delal  dichiarazione infedele, per la quale è  già prevista la sanzione ben più grave di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997 che, pertanto, copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata o meglio non attendibile in termini di congruità, poichè recante un importo inferiore a quello realmente dovuto dal contribuente; ma punisce il contribuente anche per  il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, il soggetto passivo d’imposta provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997  per la dichiarazione infedele (dal 50% al 100% dell’imposta non versata) “assorbe” anche la violazione per omesso versamento dell’imposta pregiudicando cià la contestuale irrogazione della sanzione specifica prevista proprio per il mancato versamento del tributo ex art.13  del D.lgs.n°471/1997. Secondo la Corte di Cassazione si applicherebbero due sanzioni distinte riconducibili ad un unica condotta omissiva; per cui, l’irrogazione dela sanzione prevista per la violazione più grave (dichiarazione infedele) “cumula” anche quella relativa all’omesso versamento del tributo riferito all’anno di competenza accertato; si tratta di una “cumulabilità” che trova la sua ratio anche in considerazione dell’applicazione del principio del favo rei recepito in toto dal sistema sanzionatorio tributario.