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Risarcibile il contribuente in caso di mancata cancellazione dell’ipoteca per inerzia dell’agenzia con pregiudizio per la vendita dell’immobile

La mancata cancellazione dell’ipoteca immobiliare per inerzia ingiustificata dell’ADER legittima il risarcimento del danno in favore del contribuente nel caso in cui la permanenza del provvedimento cautelare abbia vanificato la vendita dell’immobile a discapito del contribuente-venditore. E ’quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione in concomitanza dell’Ordinanza n°26042 depositata il 17/12/2020. Si tratta di una pronuncia con la quale i Giudici di Palazzaccio hanno voluto penalizzare il comportamento “omissivo” dell’ADER in ordine alla revoca dell’ipoteca immobiliare iscritta su di un terreno ex art.77 del Dpr n°602/1973, nonostante, il contribuente interessato avesse inoltrato formale richiesta di revoca della ganascia fiscale, ben un anno prima, in concomitanza del pagamento del debito residuo a lui imputato dall’ADE. La mancata vendita dei beni immobili da parte del contribuente dovuta alla colpevole inerzia dell’ADER che ha mantenuto invariata l’iscrizione del provvedimento cautelare sugli immobili ha inevitabilmente pregiudicato la compravendita immobiliare vanificando il rogito notarile preceduto da un regolare preliminare di vendita. L’increscioso episodio è stato segnalato al Giudice ordinario di prime cure, al fine di ivi ottenere il ristoro dei danni riconducibili alla mancata vendita immobiliare. Il Tribunale adito accoglieva le ragioni addotte dal ricorrente. Di diverso avviso si è dimostrato il giudice di appello il quale in sede di gravame ha accolto l’appello dell’ADER ritenendo non configurabili nel caso di specie le condizioni per risarcire il malcapitato contribuente. Non si sono dimostrati dello stesso avviso i Giudici di Palazzaccio i quali ribaltando il giudicato di seconde cure hanno non solo ritenuto punibile la condotta omissiva dell’ADER ma hanno ritenuto sussistenti i presupposti per quantificare il danno patito dal contribuente nel momento storico in cui è stata vanificata la vendita immobiliare con riferimento al mercato immobiliare protempore, prospettando la Corte interessanti considerazioni anche in ordine al fattore “tempo” quale scriminante necessaria nella quantificazione del danno risarcibile.


Il caso:

La questione posta al vaglio dei Giudici di Palazzaccio è riconducibile nel caso di specie alla iscrizione di ipoteca ex art.77 del Dpr n°602/1973 con la quale l’ADER incaricata aveva attivato un provvedimento cautelare su alcuni dei terreni di proprietà di una società a garanzia di “contributi finanziari non pagati”.

Tuttavia, la società proprietari dei terreni, in vista della vendita dei suddetti beni immobili, aveva comunque proceduto a saldare i propri debiti nei confronti dell’Agente della Riscossione chiedendo contestualmente la cancellazione dell’ipoteca immobiliare iscritta sui ridetti terreni, al fine di renderli disponibili per la vendita.

Nonostante le richieste e sollecitazioni della società, alla data fissata per la stipula del contratto di cessione dei terreni (a distanza di un anno dalla richiesta di cancellazione dell’ipoteca sui terreni), l’Agente della Riscossione non aveva ancora provveduto alla cancellazione dell’ipoteca, rendendo pertanto impossibile la stipula del contratto di cessione dei terreni in questione e causando pertanto la revoca della proposta di acquisto da parte del promissario acquirente.

L’inerzia evidentemente ingiustificata dell’Agente della riscossione nel non avere tempestivamente provveduto alla cancellazione dell’ipoteca immobiliare pregiudicando ciò l’impossibilità a potere stipulare il contratto di cessione dei terreni, sono state le ragioni che hanno legittimato l’attivazione da parte del contribuente interessato, di un’azione giudiziale mirata e finalizzata all’ottenimento dei danni cagionati a seguito della mancata vendita dei terreni tenendo in debita considerazione il mercato immobiliare protempore.

Il giudice di prime cure ha accolto in toto i motivi di doglianza così come lamentati dal ricorrente con contestuale condanna dell’ADER al pagamento della somma di euro 200.000, importo liquidato a titolo di risarcimento danni in favore del ricorrente (contribuente) quantificata dal giudice adito, prendendo in considerazione, la differenza tra il prezzo di acquisto dei terreni ipotecati dall’ADER e il prezzo offerto nella trattativa immobiliare dall’acquirente che poi è dovuto recedere dall’affare persistendo sugli immobili oggetto della vendita ancora l’ipoteca immobiliare.

Di diverso avviso è stata la Corte di Appello in sede di gravame; in particolare, il giudice di seconde cure nonostante la condotta posta in essere da parte dell’Agente della riscossione fosse apparsa evidentemente “negligentee pertanto non giustificabile, non ha tuttavia ritenuto sussistente alcun danno nei confronti del contribuente, sostenendo in sede di giudicato che la “mancata vendita di un immobile non comporta un pregiudizio nei confronti del contribuente richiamando in tal caso le notorie plusvalenze immobiliari nel tempo”.

In altre parole, secondo la Corte d’Appello, l’impossibilità di concludere il contratto di cessione dei terreni con il potenziale acquirente non ha causato un danno risarcibile al contribuente poichè i beni immobili sono comunque destinati ad acquistare valore nel tempo.

Alla sentenza di appello depositata in sede di gravame ha fatto seguito ricorso per Cassazione da parte del contribuente ipotecato il quale si è invece ritenuto leso nella titolarità di un suo diritto certo ed inequivocabile.

In particolare, ribaltando la sentenza di appello i Giudici di Palazzaccio hanno accolto il ricorso introduttivo del ricorrente ritenendo pertanto configurabili le condizioni che legittimassero un ristoro in termini patrimoniali in favore del contribuente penalizzato per avere visto vanificare la compravendita dei terreni di proprietà.

Il principio espresso dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza N°26042 del 17/12/2020

In particolare, diversamente da quanto disposto dalla Corte di Appello in sede di gravame, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto risarcibile e quindi quantificabile il danno cagionato al contribuente a seguito della condotta omissiva dell’ADER rimasta inerte nonostante la richiesta formale di revoca della ganascia fiscale formalizzata dal contribuente rex ante. In particolare, secondo gli Ermellini, la Corte di appello ha omesso in

sede di giudicato di seconde cure che tra il verificarsi dell’evento dannoso (ossia, la revoca del preliminare di vendita avente ad oggetto i terreni ipotecati) e la liquidazione effettiva del prezzo di vendita, momento nel quale va stabilito il contenuto oggettivo del danno, il valore del bene muta considerevolmente.

Per cui, il danno patito dal contribuente è sicuramente risarcibile e va commisurato al “momento storico” di riferimento in cui l’inerzia ingiustificata dell’ADER ha precluso la vendita immobiliare, quantificando in concreto il prezzo che il contribuente- venditore avrebbe incassato dalla vendita dei terreni in quel preciso periodo; e quello che eventualmente avrebbe potuto prendere da una vendita futura in considerazione delle oscillazioni a cui è soggetto il mercato immobiliare.

Pertanto, preso atto che nel caso de qua il danno sussiste ed è direttamente riconducibile alla condotta omissiva dell’ufficio, i parametri di riferimento utili per la quantificazione del quantum risarcitorio in favore del contribuente sono riconducibili all’equivalente della perdita (in denaro) subita dal contribuente- venditore, a seguito della mancata vendita immobiliare; ossia, secondo gli Ermellini il danno dovrà essere parificato al mancato incasso del prezzo da parte del contribuente- venditore, rapportato al momento storico in cui la vendita stessa si sarebbe concretizzata.

Da ultimo, la Suprema Corte ha evidenziato che nella quantificazione del danno risarcibile in favore del contribuente vanno tenuti in debita considerazione gli eventi che possono accrescere o aggravare il danno subito, non escludendo ovviamente l’aumento o la diminuzione del prezzo di vendita dei ridetti beni immobili in base all’andamento del mercato immobiliare ovviamente fluttuante nel tempo in base al susseguirsi degli eventi economici.

In particolare, con riferimento specifico al rapporto tra il decorso del tempo e il quantum del risarcitorio, l’incidenza del primo sulla seconda, può manifestarsi in due modi:

  1. a) quando, nell’intervallo tra danno e liquidazione, s’accresca o diminuisca il controvalore monetario del bene perduto;
  2. b) quando, nell’intervallo tra danno e liquidazione, pur restando invariato il valore reale del bene perduto, ne muti l’espressione monetaria a causa di fenomeni inflattivi o deflattivi. Di questa seconda eventualità il giudice deve tenere conto ricorrendo alla rivalutazione officiosa del credito risarcitorio, in base – come è d’uso – all’indice del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’ISTAT, rivalutando (o devalutando, nel caso di deflazione) il credito risarcitorio al momento della liquidazione.

Poiché il risarcimento del danno è disciplinato dal principio di indifferenza di cui è espressione l’art. 1223 c.c., nella monetizzazione di esso occorre, secondo la Corte, considerare non il valore che il bene perduto aveva al momento del danno, ma il valore che avrebbe acquistato al momento della liquidazione, se si fosse trovato ancora nel patrimonio del debitore. Se così non fosse, il risarcimento si trasformerebbe – come osservato dalla dottrina – in “vana chimera”.

Può accadere, infine, che al momento della liquidazione sia ragionevole prevedere che la misura del pregiudizio sofferto dal danneggiato possa accrescersi o diminuire in futuro. Anche di tali circostanze, il giudice dovrà tenere conto nella quantificazione del risarcimento, ma a condizione che:

  1. a) l’incremento o il decremento siano ragionevolmente prevedibili, e non mere ipotesi o congetture;
  2. b) che del danno sia ragionevolmente prevedibile un aumento successivo al momento della liquidazione è circostanza che dovrà essere allegata e provata dal danneggiato;
  3. c) che del danno sia ragionevolmente prevedibile una riduzione in epoca successiva alla liquidazione è circostanza che dovrà essere allegata e provata dal responsabile, in quanto fatto modificativo della pretesa attorea.

Conclusioni:

I principi di diritto sopra richiamati non sono stati osservati nella pronuncia della Corte di appello impugnata in sede di legittimità; in particolare, nella parte in cui il giudicato di seconde cure ha ritenuto che il promittente venditore d’un immobile, quando l’affare sfumi a causa del fatto illecito d’un terzo, non possa patire danno a causa del “possibile incremento futuro del valore dell’immobile”.

Tale affermazione disposta dalla Corte di Appello in sede di gravame, non tiene conto nè del principio secondo cui la stima del danno deve essere compiuta con riferimento al momento specifico della liquidazione, e non con riferimento a momenti futuri; nè del principio secondo cui, la circostanza che il danno possa ridursi in epoca posteriore alla liquidazione, per condurre ad una riduzione del risarcimento, deve essere tempestivamente eccepita, validamente dimostrata, ed attingere almeno la soglia della ragionevole probabilità.

Ancora, alla luce dei criteri sopra indicati secondo i Giudici di Palazzaccio, le regole di diritto che la sentenza della Corte di Appello avrebbe dovuto affermare, in tema di aestimatio del danno sofferto dal promittente venditore dei terreni quale conseguenza della perdita dell’affare imputabile alla condotta d’un terzo, sarebbero dovute essere le seguenti:

-a) il venditore ha patito un danno pari alla differenza tra il valore commerciale dell’immobile al momento della liquidazione, e il prezzo offerto dall’acquirente rivalutato al momento della liquidazione;

-b) la possibilità di incrementi futuri del valore dell’immobile invenduti di cui può tenersi conto, a condizione che la relativa eccezione sia stata sollevata dal convenuto, e che l’incremento di valore sia ragionevolmente prevedibile, e non meramente ipotizzato;

-c) la possibilità che il promittente venditore, conservando la disponibilità dell’immobile, possa proficuamente impiegarlo per ricavarne un lucro o tentare una nuova vendita può tenersi conto, secondo i principi della compensatio lucro cum damno, a condizione che anche in questo caso si tratti di eventualità ragionevolmente prevedibili e non meramente ipotizzate.

Si tratta sicuramente di una pronuncia che funge da monito per tutte quelle casistiche in cui l’ADER risulta inerte rispetto alla richiesta di revoca di provvedimenti cautelari che non hanno più ragione di essere, sia nel caso di estinzione totale del debito da parte del contribuente debitore, sia in caso di estinzione parziale del quantum debeatur comunque ridotto al di sotto dei venti mila euro che rappresenta l’importo minimo al di sotto del quale non è possibile attivare ganasce fiscali a tutela del debito per cui si procede.