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Società a ristretta base azionaria. La movimentazione dei conti bancari dei soci è riferibile anche alla società

La movimentazione avente ad oggetto i conti correnti bancari dei soci è riferibile anche alla società di cui gli stessi fanno parte, configurandosi nel caso di specie una presunzione legale relativa utilizzabile dall’ufficio impositore in sede di accertamenti bancari. E’ quanto ha dispoto la Corte di Cassazione nella Sentenza n°1658 del 19 gennaio 2022. Si tratta di una pronuncia, una delle prime del 2022, con la quale  gli Ermellini hanno confermato la stretta sinergia tra il modus operandi dei soci e le società a ristretta base azionaria caratterizzate generalmente da un numero esiguo di soci legati molto spesso da vincoli di parentela. Tale peculiarità ha legittimato i giudici di Palazzaccio a ritenere fondata in favore dell’ufficio accertatore la configurabilità di presunzione legale relativa attraverso la quale la condotta assunta dai soci nella movimentazione dei loro conti correnti personali può essere ricondotta alla società a ristretta base azionaria di cui gli stessi fanno parte.  Si tratta, di un’altra pronuncia, una delle prime del 2022, con la quale viene confermato l’orientamento della Cassazione in ordine alla sussistenza di una stretta sinergia tra il modus operandi assunto dai soci nella ripartizione di utili extra contabili e la società a ristretta base azionaria di cui gli stessi fanno parte; salvo prova contraria, assolutamente non facile da assolvere sub judice. Non a caso, è stata definita in dottrina “probatio diabolica”, proprio in considerazione della complessità gravante sul contribuente nell’assolvimento della prova contraria ex art.2697 comma 2 cc.


 

 Il caso

Una S.n.c. operante nel settore della ristorazione e i soci impugnavano con distinti ricorsi gli avvisi di accertamento che ricostruivano ai fini Irpef, Irap e Iva, i redditi dell’ente collettivo nonché quelli dei soci relativamente ai  periodi d’imposta dal 2003 al 2006. La pretesa dell’ufficio impositore era riconducibile  ad  indagini bancarie  effettuate sui conti correnti della società e dei soci. La Commissione tributaria provinciale di Viterbo riuniti i ricorsi, li accoglieva ritenendo fondati i motivi di doglianza dei ricorrenti. Nei termini di legge faceva seguito atto di appello dell’Agenzia delle entrate. In sede di gravame, il giudicato di prime cure veniva parzialmente riformato. In particolare, il giudice d’appello riteneva legittimo l’accertamento emesso dall’ufficio fondato, nel caso di specie, su una presunzione legale relativa avente ad oggetto la riferibilità alla società di tutte le movimentazioni  bancarie, sia in entrata che in uscita e riconducibili ai conti correnti dei soci. La ratio era riconducibile in ragione della base familiare esistente tra i soci nonchè del vincolo solidaristico caratterizzanti l’ente collettivo. I giudici tributari di appello  disponevano altresì che spetta al contribuente in caso di contestazione da parte dell’ufficio, dare la prova specifica in ordine alla estraneità delle movimentazioni sui conti dei soci, rispetto alla società a ristretta base azionaria, non essendo, per altro, a tal fine sufficiente una giustificazione generica legata all’attività svolta. Nella casistica posta al vaglio dei giudici di appello tale prova contraria non veniva fornita, risultando priva di fondamento anche l’eccezione eccepita  dai contribuenti circa l’illegittimo ampliamento del tema del decidere operato dall’ufficio nel giudizio di appello, poiché, in realtà, concentrando l’esame su alcune operazioni bancarie, l’Agenzia  delle entrate si è limitata a mettere in luce come i conti personali dei soci fossero utilizzati per la gestione della società, con il sistematico transito di denaro ad essa riferibile. Infine, la Commissione tributaria regionale, in parziale accoglimento delle doglianze della parte contribuente  abbatteva del 30% i maggiori ricavi accertati, facendo leva sul principio per secondo cui,  in relazione a detti maggiori ricavi, si deve tenere conto dell’incidenza percentuale dei relativi costi. Al deposito della sentenza di appello faceva seguito il ricorso per Cassazione dei contribuenti poggiato su quattro specifici motivi di doglianza ex art.360 e ss cpc. In particolare, con il primo motivo di ricorso  veniva eccepita  la violazione nonché la  falsa applicazione  dell’art. 112 c.p.c. – mutamento thema decidendum in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.  Con il secondo motivo di ricorso  veniva eccepita in atti la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. 600/73, 360, nr. 3, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata secondo cui la presunzione legale iuris tantum di cui all’art. 32 n. 2 Dpr 600/73 è da ritenersi  estensibile agli accertamenti bancari sui conti di terzi, quando questi si trovino con il soggetto accertato, in relazione di stretta base familiare e vincolo solidaristico, come nel caso di specie e, considerata la fonte legale di tale presunzione, la stessa, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. Ancora, violazione per l’errata interpretazione dell’art. 37,  comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973, dalla cui lettura testuale, si evince con chiarezza che la presunzione legale in questione deve possedere i caratteri della “gravità”, “precisione” e “concordanza”, di cui al richiamato art. 2729, cod. civ. E, proprio con riferimento a questo secondo motivo di doglianza eccepito dai ricorrenti, i giudici di Palazzaccio hanno evidenziato il principio giurisprudenziale sopra richiamato in ordine alla configurabilità di una presunzione legale relativa che permette all’ufficio accertatore di estendere le risultanze riferite alla movimentazione bancaria dei soci nella loro sfera personale alla stessa società. Presunzione legale relativa configurabile per una serie di ragioni ben precise evidenziate dagli Ermellini.

 

Il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella Sentenza N°1658 del 19 gennaio 2022

Nella casistica posta al vaglio dei giudici di legittimità la CTR adita in sede di gravame ha confermato o meglio ribadito ulteriormente il consolidato orientamento giurisprudenziale assunto negli ultimi anni dalla stessa Corte di Cassazione, secondo il quale in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare,l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, estendendo alla società le operazioni ivi riscontrate”. Tale ragionamento trova la sua ratio in considerazione della relazione di parentela evidentemente configurabile tra i soci, idonea, quest’ultima,  idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi  personali e  quelli societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà della società a ristretta base azionaria, di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa. (in tal senso, Cass.21/11/2018, n. 30098).

Va da se il fatto che ancora una volta, i giudici di legittimità hanno avvalorato la tesi della stretta interdipendenza o meglio, della sostanziale sinergia  tra il comportamento dei singoli soci visti nella loro sfera personale, in ambito bancario, con quello della società a ristretta base azionaria di cui gli stessi fanno parte; il tutto, legittimato dalla configurabilità di una presunzione legale relativa spendibile dall’ufficio impositore in sede di accertamento  e sormontabile solo in caso di prova contraria fornita dal contribuente, ai sensi dell’art.2697 comma 2 cc. In altre parole, il socio per superare la presunzione legale relativa riferita all’avvenuta distribuzione di eventuali utili extra contabili all’interno della società deve farsi carico di un aprova “contraria- negativa” quasi impossibile; non a caso, è stata definita “probatio diabolica” proprio in considerazione della  enorme difficoltà ad esperirla in sede giudiziale. In sostanza, il contribuente accertato ha l’onere di dimostrare che si tratta  solo di maggiori ricavi oppure di utili accantonati a riserva o investiti in beni patrimoniali: tutto, questo,  al fine di sopperire ad una possibile  violazione o meglio ad un errore metodologico dell’ufficio impositore. E’ di tutta evidenza che, ancora una volta, la Corte di Cassazione ha posto il contribuente accertato davanti  all’onere di  fornire la prova contraria quale unica conditio capace di  neutralizzare la valenza probatoria certa vantata dall’ufficio impositore e, legittimata, dalla sussistenza di una presunzione legale relativa spendibile dall’Agenzia delle entrate in fase di accertamento delle imposte.

Proprio con riferimento alla cosiddetta “probatio diabolica” posta a carico del socio accertato occorre chiedersi quando e con quali mezzi i soci possono opporre validamente una prova contraria, al fine di superare la presunzione di avere conseguito “utili extrabilancio” rinvenienti da una società a ristretta base azionaria; presunzione legale relativa, alimentata nel caso di specie dalla dichiarata interazione tra i conti correnti bancari personali dei soci e quelli riconducibili alla società. Il modo più semplice potrebbe essere per il socio accertato quello di dimostrare la propria estraneità alla società o meglio, la configurabilità di un  suo ruolo molto marginale all’interno del comparto societario.

Proprio con riferimento a tale ultima circostanza, molte sentenze di merito hanno disconosciuto la legittimità degli avvisi di accertamento emessi e notificati dall’Agenzia delle entrate destinati e ai soci di minoranza che in quanto tali,  non anno avuto alcun potere di indirizzo o di controllo in ordine alle decisioni che hanno riguardato il comparto societario. Altra possibilità, dimostrare al giudice tributario di non essere mai venuti a conoscenza dell’ammontare dei ricavi occulti che hanno interessato la società di capitali. Per esempio, in qualche caso, è stata ritenuta sufficiente la prova espletata dal socio accertato il quale ha dimostrato  di essere stato all’estero proprio in concomitanza del periodo d’imposta accertato; per cui, non ha avuto modo di conoscere le dinamiche che hanno interessato la società in quell’anno d’imposta, anche e soprattutto, con riferimento a possibili utili  extrabilancio.

Un’altra prova esperibile sub judice potrebbe essere quella in grado di dimostrare che il socio ha sempre votato contro le delibere assembleari; di avere promosso azioni di responsabilità contro l’amministratore della società (Cass.Sez.V Ord.n°324/18; Cass.Sez.V, Sen.n°19171/19; Cass.Sen.16545/19; Cass.Sen.11045/19).

Tuttavia, molto spesso le sentenze di merito non sono state confermate in sede di legittimità, anche se le ultime pronunce dei giudici di Palazzaccio hanno evidenziato un indirizzo più liberale rispetto all’orientamento precedente. E’ il caso della sentenza  n°2749 del 25 ottobre 2021 in concomitanza della quale la Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare il principio secondo cui la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio può essere vinta dal contribuente che riesce a dimostrare la sua completa estraneità  sia rispetto alla gestione sia rispetto alla conduzione stessa della società a ristretta base azionaria. Una circostanza quest’ultima, non facile da provare in considerazione del legame parentale che molto spesso lega i soci tra loro nelle società a ristretta base azionaria.

Con riferimento alla casistica che ci occupa posta al vaglio dei giudici di Legittimità, nessuna prova tra quelle esperibili dal socio sopra richiamate è stata fornita dai contribuenti in sede di gravame; per cui, non è stato possibile neutralizzare  o meglio superare la pretesa dell’ufficio accertatore, forte di una presunzione legale relativa  che nel caso di specie ha legittimato la pretesa impositiva.