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La sospensione dell’avviso di accertamento non si estende anche alla cartella di pagamento

La  sospensione dell’esecutività dell’avviso di accertamento non opera anche nei confronti della cartella di pagamento poichè per quanto atto prodromico rispetto all’esecuzione forzata tuttavia è completamente indipendente rispetto all’avviso di accertamento inteso quale atto impositivo in senso stretto o anche  atto presupposto. E’ quanto ha dispoto la Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza N°20362 depositata il 28 settembre 2020. Si tratta di un principio giurisprudenziale in occasione del quale i Giudici di Palazzaccio hanno evidenziato la diversa natura dell’avviso di accertamento quale atto presupposto e prodromico  nel quale l’Amministrazione finanziaria esterna la propria pretesa impositiva, rispetto alla  cartella di pagamento quale atto successivo rispetto allo stesso avviso di accertamento con  la quale ha inizio la procedura di riscossione coattiva. Gli effetti sospensivi che possono riguardare l’avviso di accertamento non investono la cartella di pagamento per quanto prodromica rispetto alla stessa esecuzione forzata  di cui al Titolo II del DPR n°602/1973.


Il caso:

La questione impositiva posta al vaglio dei Giudici di Palazzaccio rinviene  nel caso di specie dalla notifica di una cartella di pagamento notificata a carico di una Srl avente ad oggetto la richiesta di pagamento della somma di euro 286.791,35, di cui euro 274.048,11 a titolo di interessi di sospensione dovuti per il periodo dal 5.6.2012 al 2.12.2014 sulle somme indicate nella cartella di pagamento la cui esecuzione era stata sospesa giudizialmente dalla CTP di Milano nelle more del giudizio di primo grado proposto dalla contribuente e poi rigettato nel merito. Nei termini di legge di cui al D.lgs.n°546/1992 il contribuente  impugnava la cartella di pagamento relativa agli interessi davanti alla CTP di Milano lamentando in particolare: a) l’infondatezza della pretesa originata da una precedente iscrizione illegittima poiché basata su un avviso di liquidazione sospeso in via giudiziale; b) la non debenza degli interessi sulle somme oggetto della cartella la cui esecutività  era stata sospesa, non essendo applicabile nel caso di specie la disciplina in tema di interessi prevista dall’art. 39, comma 2 D.P.R 602/73  pur  in presenza di un provvedimento di  di sospensione dell’esecuzione della cartella esattoriale emessa dall’Ufficio.

La CTP adita respingeva il ricorso introduttivo ritenendo che la ricorrente aveva lamentato unicamente  vizi relativi all’atto prodromico senza prospettare censure rispetto al contenuto specifico della cartella di pagamento impugnata magari richiamando, in sede di doglianza, possibili “vizi propri” della cartella di pagamento, senza nemmeno considerare che il giudizio relativo all’atto prodromico si era già concluso con esito sfavorevole al contribuente in primo grado. Avverso il giudicato di prime cure il contribuente proponeva atto di appello innanzi alla CTR Lombardia. Facendo seguito all’udienza di trattazione il giudice tributario di appello disponeva l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo riferita agli interessi in ragione della riconosciuta illegittimità della precedente iscrizione a ruolo degli importi richiesti dall’Ufficio sulla base dell’avviso di liquidazione interessato ex post dal provvedimento di sospensione in sede giudiziale.

La CTR adita rilevava pertanto il comportamento scorretto dell’Amministrazione finanziaria che non aveva disposto l’annullamento della cartella esattoriale in autotutela ma si era limitata ad adottare un provvedimento di sospensione degli effetti dell’atto impositivo mai comunicato alla contribuente. Ancora,la CTR adita  riteneva non dovuti gli interessi calcolati sugli importi indicati nella cartella di pagamento sospesa giudizialmente poichè in tale lasso temporale l’art. 47 del d.lgs. 546/92 nella versione ratione temporis non prevedeva l’applicazione di alcun interesse sul debito fiscale sospeso. Secondo la CTR adita  solo con l’introduzione del comma 8 bis del citato art. 47 del d.lgs. n. 546/92 sarebbe stata espressamente stabilita l’applicazione degli interessi al medesimo tasso di quelli originariamente dovuti anche per le ipotesi di sospensione giudiziale. Avverso il giudicato di seconde cure l’Agenzia delle entrate presentava ricorso per cassazione affidato sostanzialmente  a due motivi specifici. Parte convenuta, resisteva con controricorso in sede di legittimità al fine di ivi vedere confermare il giudicato di appello.

 

-Il principio espresso dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza N°20362 depositata il 28/09/2020

Volendo richiamare le motivazioni espresse in punto di diritto  dai Giudici di Palazzaccio nell’Ordinanza in commento, rileva intanto  segnalare che  con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate ricorrente ha eccepito in atti la violazione degli artt. 47, comma 1., d.lgs. n. 546/1992 e 25, d.P.R. n. 602/1973 in quanto secondo l’Avvocatura Generale dello Stato la sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’atto impositivo, non preclude  comunque l’iscrizione a ruolo effettuata ex ante dall’ufficio imposiotore; pertanto,  non delegittima la successiva  notifica della cartella di pagamento; gli Ermellini hanno ritenuto fondato il suddetto motivo.

In particolare, i Giudici di Palazzaccio hanno precisato in sede di giudicato  che  l’art. 47 del d.lgs. n.546/1992 prevede al comma 1 la possibilità per il contribuente ricorrente di chiedere alla CTP adita, in sede di prime cure, la sospensione dell’esecuzione dell’atto opposto qualora dallo stesso «può derivargli un danno grave ed irreparabile»; al successivo  comma 7  dispone altresì che “Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza dì primo grado”.  Con specifico riferimento a tale assunto la Suprema Corte ha altresì precisato che le Sezioni Unite hanno chiarito che la cartella di pagamento è atto prodromico all’esecuzione, avendo più volte affermato che, a norma dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 12 della legge n. 448 del 2001, «sono sottratte alla giurisdizione del giudice tributario le sole controversie attinenti alla fase dell’esecuzione forzata in senso stretto» con la conseguenza che «l’impugnazione degli atti prodromici all’esecuzione, quali la cartella esattoriale o l’avviso di mora (o l’intimazione di pagamento ex art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973) è devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie, se autonomamente impugnabili, ai sensi dell’art. 19 del medesimo d.lgs.» (Cass. S.U. nn. 8279/2008, 8770/2016, 13913/2017). Sono queste le osservazioni in punto di diritto che hanno portato la  Corte di Cassazione a ritenere che la cartella di pagamento è solo un atto prodromico rispetto all’esecuzione e pertanrto ha un carattere meramente consequenziale rispetto agli avvisi di accertamento presupposti. Pertanto, un possibile provvedimento di sospensione dell’atto impositivo, ossia, dell’avviso di accertamento non implica effetti diretti  ed immediati sulla cartella di pagamento che è atto prodromico dell’esecuzione di cui al DPR. N°602/1973. Ne deriva che, la cartella esattoriale ove impugnata avrebbe dovuto essere a sua volta oggetto di richiesta di sospensione qualora la parte avesse ritenuto che dalla esecutività della stessa potesse derivarle un danno grave ed irreparabile ex art.47 comma 1 del più volte richiamato D.lgs.n°546/1992;  richiesta di sospensione del titolo esecutivo  che nel caso di specie non è stata avanzata da parte ricorrente (Cass.n.30584/2017). Va da sé il principio generale secondo cui la sospensione cautelare riferita all’avviso di accertamento non può che esplicare la sua efficacia limitatamente all’atto impositivo stesso per la quale è stata richiesta ed ottenuta; ove concessa dal Collegio tributario, gli effetti cautelari non possono riguardare la cartella di pagamento nel frattempo emessa e notificata dall’agente della riscossione, trattandosi di un atto distinto rispetto allo stesso avviso di accertamento che ha legittimato ex post l’iscrizione a ruolo e la successiva emissione del titolo esecutivo.

Orbene, facendo applicazione di tali principi al caso di specie  secondo i Giudici di Legittimità la CTR non avrebbe potuto annullare la cartella esattoriale come erroneamente ha fatto; ciò, a maggior ragione dal momento in cui la cartella opposta era stata emessa ex post rispetto alla sentenza di rigetto della CTP di Milano relativa all’avviso di accertamento ritenuto legittimo dal giudice tributario successivamente alla sospensione dell’esecuzione della prima cartella di pagamento emessa a carico della parte contribuente.

Ancora, con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate ricorrente ha dedotto nel caso de quo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1282 c.c., poiché la CTR avrebbe dovuto ritenere applicabili, per il periodo di sospensione giudiziale dell’atto impositivo e della successiva cartella, gli interessi legali. Anche questo motivo di doglianza mosso dall’ufficio è stato considerato fondato in sede di Legittimità.

La stessa Corte di cassazione  ha già avuto modo di affermare che in materia tributaria, qualora il ricorso del contribuente sia accolto solo parzialmente e la sentenza di merito confermi la legittimità del titolo Impugnato, l’intervenuta sospensione giudiziale della riscossione di cartelle di pagamento non determina la necessità di una nuova iscrizione a ruolo per gli interessi intanto maturati sull’importo dell’imposta dovuta, fondandosi tale pretesa, sul principio generale di cui all’art. 1282, primo comma, cod. civ. secondo cui i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi nella misura del tasso legale, salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente (Cass.n.15970/2014).

Con riferimento al caso di specie, la Corte di Cassazione ha precisato  che gli interessi per il periodo di sospensione sono comunque dovuti “al tasso legale” con riferimento (anche ) al duplice periodo di sospensione in osservanza alla previsione normativa di cui al richiamato art.1282 c.c.

I Giudici di Palazzaccio hanno ribadito tale principio anche in concomitanza della pronuncia n.1312/2018 espressa in concomitanza di una casistica simile a a quella di cui si tratta. In particolare, nella vicenda posta  ex ante al vaglio degli Ermellini, gli stessi, rigettando il ricorso  introduttivo proposto dal contribuente nell’ambito di una vicenda sostanzialmente sovrapponibile ha espressamente  rilevato  che “… in osservanza a quanto disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, comma 7, “gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza dì primo grado”. Pertanto, la tesi del ricorrente secondo cui tale cessazione di efficacia non può comunque comportare il recupero degli interessi decorsi durante il periodo di sospensione muove dall’implicito assunto che tale sospensione abbia comunque di per sè determinato la sterilizzazione della pretesa estendendosi anche  ai suoi accessori, e ciò indipendentemente dal successivo esito del giudizio di merito e, dunque, da ogni definitiva valutazione sulla fondatezza della stessa.

Rileva senz’altro segnalare che la funzione cautelare e non decisoria che è propria del dispositivo di sospensione in quanto tale non incide sull’efficacia del provvedimento impugnato il quale conserva nelle more del giudizio tutti i suoi effetti e la sua validità. Diversamente,  il provvedimento cautelare come dispsoto dal giudicante incide  esclusivamente sulla esecutivìtà dell’atto stesso

I giudici di Cassazione hanno  altresì precisato che non può condurre a diversa conclusione l’introduzione nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, ad opera dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. r), n. 4), (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario), del  comma 8-bis in cui è testualmente disposto: “durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa”.  Si tratta di una novella che oltre a non essere applicabile alla fattispecie ratione temporis (la stessa infatti trova applicazione a decorrere dal 1 gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo), non può nemmeno costituire argomento per una ricostruzione della disciplina previgente nei sensi proposti dal ricorrente. L’innovazione introdotta da tale disposizione normativa non consiste infatti nell’avere essa previsto l’applicazione, durante il periodo di sospensione cautelare, di interessi che prima in mancanza di espressa previsione,andavano esclusi;  ma solo nell’aver parificato, per evidenti esigenze di razionalità e parità di trattamento, il tasso di interesse applicabile nel detto periodo a quello che sarebbe stato da applicare laddove, anzichè di sospensione giudiziale, si fosse trattato di sospensione amministrativa.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte  i Giudici di Palazzaccio hanno  pertanto ritenuto censurabile l’orientamento assunto dalla CTR che in sede di gravame ha ritenuto di escludere il diritto alla corresponsione di qualunque tipologia di interessi per il periodo di sospensione.