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Deducibili le spese di sponsorizzazione destinate ad attività sportive dilettantistiche. Presunzione legale assoluta che preclude all’ufficio qualsiasi contestazione sulla “non inerenza e non congruità” dei costi.

Le spese di sponsorizzazione erogate in favore di associazioni sportive dilettantistiche ed enti similari,  sono sempre deducibili se il loro importo non supera i 200.000 euro poichè è prevista una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria che non consente all’ufficio impositore alcun sindacato sulla inerenza e la congruità delle stesse rispetto alla tipologia di attività e ai ricavi rapportati all’anno d’imposta considerato. E’ quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione in concomitanza dell’Ordinanza  N.8540, depositata il 6 maggio 2020. In particolare, gli Ermellini ribaltando  l’orientamento assunto dai giudici di appello in sede di gravame hanno confermato la presunzione legale assoluta che legittima in ogni caso la deducibilità di tutte le spese sostenute da un impresa per pubblicità e sponsorizzazioni in genere, destinate ad attività sportive dilettantistiche nonché in favore di società o enti  non profit in genere, pregiudicando pertanto la possibilità dell’ufficio impositore di poter contestare, in sede di accertamento, la deducibilità di tali spese eccependo le rituali doglianze riferite alla “non inerenza” e “non congruità” delle spese sostenute rispetto al tipo di attività svolta. La pronuncia non è di poco conto poiché ribadisce un orientamento già espresso dagli Ermellini ma che  tuttavia non sembra scoraggiare gli uffici impositori poiché sono ancora tanti gli avvisi di  accertamento  emessi  dall’Ade con i quali gli uffici non riconoscono la deducibilità di costi sostenuti per attività di sponsorizzazione in occasione di eventi sportivi.


Il caso:

La questione posta al vaglio della Corte di Cassazione rinviene nel caso di specie  dalla notifica di un avviso di accertamento a rettifica emesso ad una ditta individuale, ai fini IVA , IRPEF , IRAP. In particolare, con il proprio atto impositivo l’AdE riteneva non deducibili le spese di sponsorizzazione sostenute dalla ditta uni personale in favore di un ente sportivo dilettantistico. Nei termini di legge il soggetto destinatario dell’atto impositivo proponeva ricorso alla CTP territorialmente competente che accoglieva il ricorso introduttivo con conseguente annullamento dell’atto impositivo. L’Ufficio proponeva appello  in sede di gravame sostenendo l’indeducibilità dei costi per difetto di inerenza e congruità dei medesimi rispetto alla tipologia di attività svolta dalla ditta nonché rispetto ai ricavi dichiarati dalla stessa nei periodi d’imposta accertati. I giudici di appello ritenevano fondati i motivi di doglianza mossi dall’ufficio accogliendo pertanto il gravame. Nei termini di legge  Nei termini di cui all’art.360 e ss cpc la ditta individuale proponeva ricorso per cassazione deducendo in sede di legittimità la violazione nonché falsa applicazione dell’art.109 del D.P.R. n.917/1986 ritenendo pertanto che il giudice d’appello avesse errato  in sede di gravame nel disconoscere la deducibilità dei costi effettivamente sostenuti non solo ma assolutamente congrui ed inerenti rispetto al tipo di attività svolta dalla ditta ricorrente.

 

 

– La normativa di riferimento: L’art.90, comma 8 della L.n°289/2002. Presunzione legale  assoluta  sulla deducibilità dei costi per attività di sponsorizzazione.

 Sulla questione posta al vaglio dei giudici di Cassazione preliminarmente  rileva, ad avviso di chi scrive,  fare  il punto sulla normativa di riferimento che gli stessi Ermellini hanno recepito in sede di giudicato, al fine di ribaltare la sentenza di appello depositata in sede di gravame e giustificare pertanto la deducibilità dei costi per sponsorizzazioni  contestati dall’ufficio impositore in sede di accertamento.

Sul punto, è necessario segnalare che le spese di sponsorizzazione poichè riconducibili alle spese di pubblicità sono integralmente deducibili in virtù di una presunzione legale assoluta introdotta nell’ordinamento tributario dall’art.90, comma 8, della Legge 27/12/2002 n°289. Deve essere aggiunto altresì che, le spese di sponsorizzazione contenute nel limite di € 200.000 su base annua sono integralmente deducibili ai fini del reddito d’impresa. Quanto alla ripartizione dell’onere della prova in ordine alla effettività dei costi sostenuti, principio dell’assolvimento dell’onere della prova sancito dall’art. 2697 c.c., lo stesso  deve ritenersi posto a carico dell’Agenzia delle Entrate affinché, l’ufficio dimostri l’effettività dei rapporti di sponsorizzazione pubblicitaria.

In particolare, la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire in diverse pronunce proprio aventi ad oggetto la deducibilità dei costi relativi ad operazioni di pubblicità, “che grava sull’Amministrazione Finanziaria stessa, l’onere di provare l’indeducibilità dei costi di un’impresa, per mancanza di inerenza delle operazioni da cui essi derivano”; trattasi,proprio della contestazione mossa dall’ufficio impositore nella questione posta al vaglio dei giudici di Cassazione nell’Ordinanza in commento.

Pertanto, volendo richiamare la normativa di riferimento sul punto, non può essere negata l’operatività della presunzione legale  assoluta rinveniente dalla lettura della previsione normativa di cui al già richiamato art.90, comma 8, della L. 27 dicembre 2002, n°289, ovvero, una presunzione legale assoluta di qualificazione, nei limiti di 200.000 euro, come spese di pubblicità destinate alla promozione dell’immagine o dei prodotti del

 

 

soggetto erogante; il relativo corrispettivo in denaro deve quindi ritenersi, ex lege, inerente e congruo  rispetto all’esercizio dell’attività commerciale. E’ questo il principio generale enucleabile dalla lettura testuale della norma sopra richiamata.

Del resto,.sulla questione di cui si tratta, gli stessi Ermellini hanno evidenziato con un  orientamento quanto mai tetragono, che in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della legge n°289 del 2002,sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che :

-a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica;

-b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa;

-c) la sponsorizzazione sia finalizzata a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor

-d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.).

Inoltre, la stessa Cassazione in sede di legittimità ha evidenziato che la presunzione legale di inerenza/deducibilità riferite alle spese di sponsorizzazione di società sportive dilettantistiche sancita dall’art. 90, comma 8, della L. n°289 del 2002, opera in virtù della sola ricorrenza dei presupposti previsti dalla norma, “senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori quali la registrazione e la certezza di data del contratto con lo sponsor e la omissione della dichiarazione reddituale annuale da parte dello stesso sponsor, nonché l’eventuale eccepita antieconomicità della spesa”.

Sulla questione di cui si tratta, sempre i Giudici di Palazzaccio hanno espressamente  affermato che in ordine ai requisiti per la deducibilità dei costi in un determinato esercizio, anche diverso da quello di competenza, ed, in particolare, in relazione all’onere della prova circa l’esistenza e l’inerenza di tali componenti negative del reddito, discende, con riferimento ai costi che derivano da contratti aventi ad oggetto prestazioni di servizi, che essi sono  da considerare sicuramente deducibili nell’esercizio corrispondente al momento nel quale il contratto è eseguito; e che l’esecuzione del contratto, non può che essere comprovata dalla fattura, costituente un atto giuridico a contenuto partecipativo che non può non avere la finalità di dimostrare per tabulas elementi riferiti inequivocabilmente alla fase di esecuzione di un contratto formalizzato ex ante  tra le parti interessate.

 

 

-Il principio espresso dalla  Corte di Cassazione  nell’Ordinanza n°8540 del 06 maggio 2020

Dopo avere analizzato la normativa di riferimento da cui non era possibile prescindere, ad avviso di chi scrive, può dirsi  sicuramente condivisibile l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n°8540 del 06 maggio 2020 in commento. Trattasi, di un orientamento che rientra nel solco giurisprudenziale della stessa Corte che già in altre pronunce ha espressamente  recepito quanto è possibile evincere  chiaramente dalla normativa di riferimento più volte evidenziata (art.90, comma 8 della L.n°289/2000) e che legittima la deducibilità di costi sostenuti dal contribuente per lo svolgimento di determinate attività sportive non dilettantistiche, precludendo qualsiasi forma di contestazione a parte dell’ufficio impositore in ordine alla indeducibilità dei ridetti costi, adducendo l’A.F. la solita questione della non inerenze e delle antieconomicità dei costi stessi portati in deduzione; doglianze queste che non possono superare la presunzione legale assoluta rinveniente dalla norma di riferimento più volte richiamata e recepita in sede di legittimità dalla stessa Corte di Cassazione; da ultimo, proprio nell’Ordinanza in commento.

La Suprema Corte adita, nel caso di specie, preliminarmente ha precisato come non sia stata contestata dall’ufficio in sede di gravame né l’effettività delle prestazioni di sponsorizzazione, né la loro eventuale sovra fatturazione, confermata anche nella pronuncia del giudice d’appello.

Con riferimento alla casistica specifica  posta al vaglio dei giudici di legittimità , gli stessi, non hanno potuto fare altro che ribadire, come più volte segnalato, il principio normativo di cui all’art. 90, comma 8 della L. n. 289/2000  da cui è possibile evincere la deducibilità del corrispettivo in denaro o in natura destinato in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché, di associazioni sportive scolastiche  che costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante. La Corte adita, pertanto, anche in questa circostanza, ha richiamato diversi suoi precedenti giurisprudenziali sopra evidenziati,non potendosi esimere dal precisare che la citata disposizione ha introdotto in  favore del soggetto che eroga il corrispettivo una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria di tali spese, a condizione che: a)  il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) che venga rispettato il limite quantitativo di spesa espressamente richiamato dalla norma; c) che la sponsorizzazione sia essenzialmente finalizzata a promuovere l’immagine e i prodotti dello sponsor; d)che il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale, senza che rilevino requisiti ulteriori. Nella casistica posta al vaglio degli Ermellini è emerso che  i giudici del gravame hanno  errato nel ritenere legittima la pretesa fiscale per difetto di inerenza e di congruità ovvero, sulla base di valutazioni, che nel caso di specie,  erano irrilevanti circa l’inerenza e la congruità di quei costi.

Tuttavia, nonostante l’orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione sulla questione sia ormai  granitico, ancora si assiste alla emissione da parte dell’A.F di avvisi di accertamento con i quali l’ufficio impositore, a parità di condizioni come sopra, puntualmente  contesta oltre alla effettività  dei costi anche la non inerenza degli stessi unitamente  alla antieconomicità dei costi stessi  rispetto all’ammontare dei ricavi, costringendo il contribuente molto spesso ad intraprendere azioni giudiziali sicuramente evitabili oltre che costose.