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Compensazione delle spese di lite solo in caso di gravi ed eccezionali ragioni con obbligo del giudice di richiamarle in sentenza

E’ quanto ha disposto la Corte di Cassazione in concomitanza della pronuncia N°8272 del 29/04/2020.  In particolare, gli Ermellini hanno precisato che l’art.15, comma 2 del D.lgs.n°546/1992 dispone  espressamente che le spese di giudizio possono essere compensate qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. Le gravi ed eccezionali ragioni da indicarsi espressamente nella parte motiva del giudicato, che legittimano la compensazione  totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa che non possono essere espresse con una formula generica, inidonea a consentire il necessario controllo. In altre parole, i Giudici di Palazzaccio, in considerazione del richiamo espresso all’art.96 cpc previsto nel comma 2 bis dello stesso art.15 del D.lgs.n°546/1992 hanno considerano, (come in altre pronunce precedenti: ex multis, Cass,Sentenza 31 maggio 2016, n°11217) la compensazione delle spese di giudizio una vera e propria  deroga  rispetto al principio generale che vuole anche nel processo tributario l’applicazione del principio di soccombenza processuale per le  spese giudiziali. L’eccezione rispetto alla regola è rappresenta dalla evidente  coesistenza nel giudizio tributario di ragioni che connotano i caratteri della gravità e delle eccezionalità che dovranno essere specificamente richiamati dal giudicante nella parte motiva della sentenza. Purtroppo, è questa una circostanza non sempre osservata dai Collegi tributari  aditi che spesso dispongono la compensazione delle spese di lite, giustificandola con formule   generiche e stereotipate, omettendo di richiamare, nel giudicato, le peculiarità in termini di gravità e complessità che hanno caratterizzato quel giudizio  e che   pertanto hanno  legittimato la decisione del Collegio in ordine alla compensazione delle spese di lite.

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 Il quadro normativo di riferimento: L’art.15, comma 2 del D.lgs.n°546/1992:

Volendo per esigenze di chiarezza richiamare il quadro normativo di riferimento, a norma del D.lgs.n°546/1992, art.15, comma 2 la Commissione tributaria può compensare in tutto o in parte le spese processuali a norma dell’art.92 c.p.c., comma 2, norma quest’ultima da prima emendata dalla L.263 del 2005, art.2, comma 1 lett. a), come modificata dalla L.n°51 del 2006, art.39 quater; normativa in osservanza della quale è possibile ovviare al principio di soccombenza unicamente  in concomitanza di gravi ed eccezionali motivi esplicitamente indicati nella motivazione del giudicato.  Ne deriva che non può ritenersi idonea la  generica formulazione usata “peculiarità della materia del contendere” per potere derogare validamente al principio di soccombenza.

 

Intanto rileva richiamare quanto disposto dalla previsione normativa  di apertura contenuta nell’art.15 comma 1 del D.lgs.n°546/1992 in cui è disposto testualmente il principio generale secondo cui:”la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese di giudizio che sono liquidate con la sentenza”.

Nel successivo comma 2, lo stesso art.15 del  D.lgs.n°546/1992 già evidenziato  è  testualmente disposto che:“ le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

Le disposizioni normative sopra richiamate dispongono espressamente che la condanna alle spese processuali è prevista per la parte che risulta soccombente nel giudizio tributario così come liquidate dal giudicante in sentenza. Tuttavia, è comunque fatta salva la possibilità di deroga a tale principio  generale nelle circostanze espressamente e tassativamente indicate dal richiamato comma 2 dell’art.15 del D.lgs n°546/1992.  Nbon vi è alcun dubbio sul fatto che il dato normativo sopra richiamato subordina evidentemente la possibilità del Giudice tributario adito di compensare le spese processuali (in deroga al principio della soccombenza di cui al richiamato art.96 c.p.c a cui lo stesso art.15 del D.lgs.n°546/ fa espresso richiamo) allorquando il giudizio è stato interessato dalla chiara configurabilità di gravi ed eccezionali ragioni che ne hanno  caratterizzato l’andamento; circostanze di urgenza e gravità che  devono essere espressamente e puntualmente richiamate dal giudicante  in sentenza.

In particolare, deve trattarsi di ragioni serie e non ordinarie in ordine alle quali il giudice tributario dovrà essere chiaro ed esaustivo. Non può intendersi pertanto adeguatamente motivata la sentenza che fa riferimento ai cosiddetti motivi di equità non altrimenti specificati, né, quando le argomentazioni del Collegio tributario giudicante si riferiscono genericamente alla peculiarità della vicenda o alla qualità delle parti o anche alla natura  stessa della controversia. Molto spesso i collegi tributari fanno espresso richiamo a formule generiche e assolutamente stereotipate non sufficienti a giustificare la particolarità del giudizio per il quale è stata disposta la compensazione delle spese di giudizio.

Volendo avere riferimenti certi per capire meglio cosa si deve intendere quando la normativa sopra richiamata  parla di “gravi ed eccezionali ragioni basti pensare:

  1. a) alla complessità della vertenza;
  2. b) alla sussistenza di precedenti giurisprudenziali contrastanti;
  3. c) alla novità della questione trattata;
  4. d) alla sopravvenienza di nuove leggi;
  5. e) alla sopravvenienza di pronunce di incostituzionalità;
  6. f) alla sopravvenienza di pronunce interpretative della Corte di Giustizia Europea.

 

Peraltro verso, possono incidere anche condotte processuali che abbiano  concorso a dilatare i tempi del processo, quali ad esempio, un comportamento processualmente scorretto o non collaborativo delle parti; oppure, la mancata ottemperanza alle ordinanze istruttorie del giudice.

Al di là di tutto, fatte salve le circostanze   come sopra richiamate ciò che rileva in sede di giudicato è evitare un eccesso di compensazione delle spese che incentiva sicuramente le azioni giudiziali o la resistenza in giudizio di chi ha torto, disincentivando parallelamente l’azione di chi ha ragione, violando così i canoni del giusto processo nonché dell’efficacia della tutela giurisdizionale (artt.24 e 111 Cost.).

Altra tendenza sicura dell’ordinamento è quella di ritenere che sia valorizzabile come regola di ripartizione delle spese il criterio della responsabilità”  per la instaurazione o prosecuzione del procedimento, tenendo conto della condotta delle parti anche nella fase procedimentale.

Pertanto, si tende a valorizzare sempre di più la condotta delle parti anche prima del processo, andando a verificare quale tra esse non abbia fatto quanto era  ragionevole  fare al fine di evitare la lite, anche in osservanza ai doveri di buona fede. Così, si afferma che deve farsi carico delle spese processuali o di lite, la parte che con il comportamento assunto in sede stragiudiziale abbia legittimato quale unica soluzione possibile  l’azione  giudiziale , omettendo  pertanto qualsiasi condotta deflattiva rispetto al giudizio stesso.

Nella stessa direzione, rileva sicuramente la previsione normativa di cui all’art.15, comma 2 octies c.p.c.  in cui è espressamente disposto che qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dalla controparte senza una giusta motivazione, restano a carico della seconda le spese del processo nel caso in cui il riconoscimento delle sue pretese risulta ex post inferiore rispetto al contenuto della proposta stessa fatta inizialmente in sede stragiudiziale.

Deve essere precisato altresì, a parere di chi scrive che, la soccombenza processuale nella casistica sopra richiamata dovrà essere applicata, non solo quando la pretesa disposta dal giudice sia inferiore a quella proposta in sede conciliativa, ma, anche nel caso in cui la stessa risulta pari a quella proposta in sede di accordo bonario, Poiché, anche in tal caso, si capisce bene che la prosecuzione del giudizio è stata praticamente inutile.

 

– La Sentenza N°8272 del 29/04/2020  pronunciata dalla Corte di Cassazione:

La pronuncia della Corte di Cassazione in commento, ad avviso di chi scrive, rileva non poco poichè ribadisce i principi normativi e giurisprudenziali già espressi in altre pronunce. Nel caso de qua, i  Giudici di Palazzaccio  hanno ritenuto assolutamente non congrua, in chiave motivazionale, la sentenza con la quale il giudice tributario di appello ha disposto in sede di gravame la compensazione delle spese di lite previo utilizzo di una  formula  quanto mai generica e stereotipata, spesso utilizzata in sede di giudicato per giustificare la compensazione delle  spese di giudizio.

 

In particolare, i giudici di legittimità nel caso di specie hanno ritenuto il capo della sentenza impugnata relativo al regolamento delle spese processuali meritevole di cassazione con conseguente rinvio alla Commissione tributaria regionale che in diversa composizione  dovrà provvedere in ordine alle spese processuali relative al procedimento tributario di cui si tratta.

Tuttavia,  rileva altresì segnalare che è comunque fatta salva la possibilità del giudice tributario  adito  di dichiarare ,in tutto o in parte compensate, ossia, destinate a rimanere in tutto o in parte a carico di chi le ha sostenute, le spese in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono necessariamente essere richiamate in sede di giudicato in osservanza a quanto disposto dal più volte richiamato art.15 comma 2 del D.lgs.n°546/1992. Il dato normativo ci porta a sostenere che, in tema di liquidazione delle spese, la compensazione delle stesse costituisce chiaramente una eccezione rispetto alla regola generale che dispone necessariamente la soccombenza  al pagamento delle spoese del giudizio unitamente alla soccombenza processuale.

 

Conclusioni:

A parere di chi scrive, può dirsi  condivisibile l’orientamento ultimo assunto dai Giudici di legittimità i quali nella pronuncia in commento hanno ritenuto che la Commissione tributaria regionale non abbia fatto corretta applicazione della normativa contenuta nell’art.15 comma 2 del più volte richiamato D.lgs.n°546/1992 ritenendo, il Collegio tributario giudicante sussistenti i presupposti per giustificare la compensazione delle spese processuali, pur esimendosi il giudice tributario da qualsiasi giustificazione in tal senso, in deroga espressa al precetto normativo  contenuto nel richiamato art.15, comma 2 del D.lgs.n°546/1992.

In particolare, la giurisprudenza prevalente ritiene che la pronuncia avente ad oggetto la compensazione delle spese processuali è da ritenersi insindacabile in sede di legittimità, eccetto i casi in cui siano espresse ragioni palesemente illogiche tali da inficiare per la loro stessa inconsistenza o palese erroneità il processo formativo della volontà decisionale.

In particolare, proprio sulla questione delle spese processuali  la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite in concomitanza della pronuncia N°20598 del 30/07/2008 ha sancito la necessità che il provvedimento di compensazione delle spese processuali trovi sempre e comunque un adeguato supporto motivazionale.

 

 

 

Pertanto, l’obbligo motivazionale in tal senso, dovrà ritenersi assolto nel caso in cui la parte motiva della sentenza contenga considerazioni giuridiche o di fatto tali da risultare idonee per potere giustificare la regolazione delle spese processuali adottata in sede di giudicato.

A titolo esemplificativo,volendo fare dei riferimenti precisi possiamo dire che sicuramente risulterebbe motivata in sentenza la compensazione delle spese di lite qualora nella parte motiva del giudicato, si facesse riferimento a:

  • oscillazioni giurisprudenziali sulla questione di merito;
  • oggettive difficoltà di accertamenti di fatto idonee a incidere sulla conoscibilità delle ragioni espresse dalle parti nei loro atti difensivi;
  • palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste;
  • comportamento processuale eccessivamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali.

Ne deriva che, la decisione disposta dal Collegio tributario deve considerarsi priva di motivazione allorquando contenga la tautologica affermazione secondo cui:”sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio” ovviando il giudice tributario  a qualsiasi giustificazione congrua in tal senso.

E’ questa la casistica davanti alla quale si è trovata la Corte di Cassazione nella vicenda sopra richiamata    che ha ribadito un orientamento ormai pacifico sulla questione espresso anche dalle Sezioni Unite e recepito da altre pronunce che si sono espresse in tal senso.

Del resto, tale orientamento giurisprudenziale sembra  avere trovato una ulteriore conferma, ove ce ne fosse stato bisogno in termini di legittimità, anche nelle modifiche ultime apportate dal D.lgs.n°156/2015 alla normativa contenuta nel D.lgs.n°546/1992 in vigore dal 1°gennaio 2016.

Mi riferisco, in particolare alle previsioni normative contenute nel più volte richiamato art.15, comma 2 bis – 2ter -2quater – 2quinquies- 2sexies- 2 septies- 2 octies che per certi versi non avrebbero senso nel caso in cui fosse dato adito ad una sorta di “automatismo” nella compensazione delle spese processuali.

Tuttavia, come già segnalato, l’orientamento ormai prevalente per non dire  granitico dei Giudici di Palazzaccio sulla questione,  sembra non bastare poiché sono ancora tante le Commissioni tributarie che a dispetto di una normativa  nonché di una giurisprudenza chiara ed inequivocabile, dispongono  la compensazione delle spese di giudizio  omettendo in sede di giudicato il richiamo a motivazioni congrue e specifiche.