Confermato dalla Corte di Cassazione il divieto della motivazione postuma per gli avvisi di accertamento
La Corte di Cassazione con l’Ordinanza 21875 del 29 luglio scorso si è espressa sul tema dell’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento Tari ribadendo il cosiddetto “divieto di integrazione postuma” già presente nell’ordinamento normativo e reso espresso dal legislatore della riforma fiscale attraverso l’inserimento nell’art.7 del comma 1 bis della L.n°212/2000.
In altre parole, gli Ermellini con la pronuncia depositata a luglio scorso hanno confermato, non solo l’obbligo della motivazione degli avvisi di accertamento Tari dalla quale non è possibile prescindere, al fine di poter garantire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa davanti al giudice tributario; ma, l’Ordinanza della Cassazione ha precluso altresì la possibilità per i Comuni impositori (nel caso della TARI) di ricorrere alla cosiddetta “motivazione postuma”; ossia, ad una motivazione successiva, quindi, postuma rispetto alla emissione dell’atto impositivo, finalizzata a colmare un evidente difetto di motivazione da cui è affetto ab origine l’avviso di accertamento notificato al contribuente; vizio di motivazione dell’atto eccepito dal contribuente in sede giudiziale. Si tratta di un orientamento giurisprudenziale palesato dai giudici della Suprema Corte con il quale è stato recepito in toto il dettato normativo recentemente novellato e contenuto nel cosiddetto Statuto dei diritti del contribuente (L.n°212/2000) all’art. 7, comma 1bis Per cui, l’avviso di accertamento TARI, ma se vogliamo, il principio espresso dai giudici di Palazzaccio è estensibile a tutte le tipologie di accertamenti tributari, sia quelli emessi dagli enti locali sia quelli notificati dall’Amministrazione finanziaria devono essere sufficientemente motivati già in concomitanza della loro emissione e notifica al contribuente sia persona fisica sia se si tratta di una società, facendo salva, la possibilità per il contribuente di capire in modo chiaro ed intellegibile le ragioni in punto di fatto e quelle in punto di diritto che hanno legittimato l’ente impositore alla emissione dell’atto di contestazione. In altre parole, gli avvisi di accertamento devono riportare una motivazione sufficiente e non criptica, idonea a consentire al contribuente, quale destinatario della pretesa impositiva, di capire senza difficolta le ragioni che hanno legittimato l’emissione dell’atto impositivo a suo carico. In mancanza, l’atto emesso dall’ufficio impositore può essere dichiarato nullo dal giudice tributario adito per assenza assoluta di motivazione o carenza della stessa in deroga a quanto previsto dal più volte richiamato art.7 comma 1 della L.n°212/2000
La normativa di riferimento e il principio espresso dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza N°21875 del 29 luglio 2025
L’articolo 7, comma 1, dello Statuto del contribuente (L.n°212/2000) già nella formulazione antecedente alla recente riforma disponeva espressamente che gli atti emessi dalle amministrazioni fiscali devono essere motivati, a pena di nullità degli atti impositivi, indicando questi ultimi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano l’emissione dell’avviso di accertamento. Con espresso riferimento proprio ai tributi locali tale principio è stato recepito dall’ articolo 1, comma 162, della legge 296/2006 che disciplina il comparto della fiscalità locale. Nella recente Ordinanza pronunciata a luglio scorso la Suprema Corte ha illustrato come l’obbligo motivazionale riconducibile all’avviso di accertamento Tari possa ritenersi adempiuto, per relationem, vale a dire, attraverso l’utilizzo di una motivazione di richiamo solo con riferimento alla deliberazione comunale con la quale il Comune ha determinato le tariffe di riferimento a mq. da applicare (tariffa fissa – tariffa variabile) per quantificare il tributo, essendo, nel caso di specie, la delibera comunale, un atto soggetto alla rituale pubblicazione all’albo pretorio del comune; quindi, trattasi di un atto soggetto ad una sorta di pubblicità ex lege che consente all’ente locale di effettuare nell’avviso di accertamento solo un semplice richiamo alla delibera comunale, senza nessun obbligo in chiave motivazionale in senso stretto.
Diversamente, nel caso in cui il disconoscimento di un’agevolazione fiscale Tari è direttamente riconducibile al verificarsi, o meno, di una situazione di fatto, la motivazione nell’avviso di accertamento deve essere necessariamente espressa e tale obbligo “deve essere rispettato dall’ente impositore ab origine e non nel corso del giudizio tributario, trattandosi di un requisito intrinseco dell’atto stesso”.
In altre parole, la Suprema Corte ha precluso espressamente la possibilità per i Comuni di integrare a posteriori rispetto alla emissione dell’avviso di accertamento la carenza motivazionale dell’atto impositivo così come contestata dal contribuente davanti al giudice tributario. Pertanto, l’avviso di accertamento TARI (e non solo) deve, già in sede di emissione dell’atto stesso, contenere una motivazione sufficiente e congrua capace di assicurare al contribuente l’esercizio del proprio diritto di difesa costituzionalmente assitito. L’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto solo quando il contribuente è posto nelle condizioni di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente il cosiddetto ’“an” e “quantum” del tributo richiesto. In mancanza, l’avviso di accertamento può essere impugnato davanti al giudice tributario, al fine di chiedere la nullità dello stesso, per assenza o carenza assoluta di motivazione. Quello espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nell’Ordinanza N°21875 del 29 luglio 2025 è un principio giurisprudenziale già espresso dai giudici di Palazzaccio con l’Ordinanza 26336/2024 riferita ad un avviso di accertamento IMU quindi riconducibile comunque al novero della fiscalità locale. Come già evidenziato, quello espresso dalla Suprema Corte è un principio generale estensibile, non solo a tutto il comparto della fiscalità locale, ma, applicabile certamente anche agli avvisi di accertamento emessi e notificati dall’ amministrazione finanziaria. In particolare, divieto di integrazione postuma della motivazione tutela i principi costituzionali di imparzialità della pubblica amministrazione, del giusto processo, e del diritto di difesa del contribuente espressamente disposto dalla nostra Carta costituzionale. Pertanto, l’ articolo 1 del Dlgs 219/2023 che recentemente ha introdotto nell’ articolo 7 della L. 212/2000 il comma 1-bis secondo il quale “i fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze”. Ne consegue che, in caso di ricevimento di un avviso di accertamento (tari -Imu) relativo ai tributi locali ma anche riferito ai tributi riconducibili all’amministrazione finanziaria che si presente evidentemente privo o carente di motivazione, potrà essere contestato davanti al giudice tributario, chiedendo al Collegio adito la nullità assoluta dell’atto stesso in conformità ad una giurisprudenza di cassazione ormai univoca. Né sarà possibile da parte dell’ufficio impositore cercare di rimediare alla lacuna motivazionale dell’atto in sede giudiziale attraverso una integrazione postuma della motivazione carente o totalmente inesistente nell’avviso di accertamento. L’orientamento palesato dalla Suprema Corte è sicuramente condivisibile anche in considerazione del fatto che l’avviso di accertamento, in quanto tale, sia se riferito ai tributi locali sia se riconducibile ai tributi erariali di spettanza dell’amministrazione finanziaria è per sua natura un atto amministrativo di natura recettizia, pertanto, deve contenere, già in concomitanza della sua emissione definitiva, tutti gli elementi formali e sostanziali (tra cui quelli motivazionali) sufficienti ad assicurarne la legittimità.