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È necessaria una congrua motivazione in sentenza per derogare al principio di soccombenza

(Articolo Pubblicato su: La Settimana Fiscale n°1/2017 de il Sole 24 Ore)

A norma del D.lgs.n°546/1992, art.15, comma 2 la Commissione tributaria può compensare in tutto o in parte le spese processuali a norma dell’art.92 c.p.c., comma 2, norma quest’ultima da prima emendata dalla L.263 del 2005, art.2, comma 1 lett. a), come modificata dalla L.n°51 del 2006, art.39 quater; normativa in osservanza della quale è possibile ovviare al principio di soccombenza solo in concomitanza di gravi ed eccezionali motivi esplicitamente indicati in motivazione. Ne deriva che non può ritenersi idonea la  generica formulazione usata “peculiarità della materia del contendere” per potere derogare validamente al principio di soccombenza. E’ quanto ha disposto dalla Suprema Corte di Cassazione Civ. 5 in concomitanza della Sentenza 31 maggio 2016, n°11217.

Il presente articolo partendo dall’analisi della pronuncia in commento focalizza gli aspetti tecnici e procedurali riconducibili alla previsione normativa  di cui al richiamato art.15, comma 2 del D.lgs.n°546/1992 che deve essere applicato  in un ottica sicuramente più rigorosa rispetto al passato; ottica quest’ultima,  che i Collegi tributari dovranno necessariamente recepire in sede di giudicato.

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Il Caso:

La questione sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità rinviene nel caso di specie da una doglianza espressa in sede di ricorso introduttivo riferita al vizio di notifica di una cartella di pagamento IRPEF-IRAP relativa al periodo d’imposta 2002. Doglianza di parte ricorrente che veniva accolta dal Giudice di prime cure. Si costituiva in sede di gravame EQUITALIA SPA con unico motivo di appello che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale confermando la C.T.R. il giudicato di prime cure che aveva disposto   l’annullamento della cartella di pagamento opposta ritenendo configurabile il vizio di notifica lamentato dal contribuente. Il ricorso per Cassazione proposto da EQUITALIA SPA veniva affidato ad un unico motivo di ricorso, eccependo l’Agente della riscossione l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che l’impugnazione fosse stata proposta avverso la cartella di pagamento mentre, di fatto il contribuente aveva impugnato il ruolo, implicando ciò l’inammissibilità dell’impugnazione.

Resisteva in giudizio il contribuente  il quale con controricorso  e contestuale ricorso incidentale fondato  su un unico motivo  di doglianza, contestava il capo della sentenza con la quale il Collegio tributario adito aveva disposto l’integrale compensazione  delle spese processuali tra le parti.

 

-L’art.15, comma 2 del D.lgs.n°546/1992:

Volendo partire dal dato normativo intanto rileva richiamare quanto disposto dalla previsione normativa  di apertura contenuta nell’art.15 comma 1 del D.lgs.n°546/1992  in cui è disposto testualmente il principio generale secondo cui :”la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese di giudizio che sono liquidate con la sentenza”.

Nel successivo comma 2, lo stesso art.15 del  D.lgs.n°546/1992 è disposto che:“ le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

Le disposizioni normative sopra richiamate dispongono espressamente che la condanna alle spese processuali è prevista per la parte che risulta evidentemente soccombente nel giudizio tributario così come liquidate dal giudicante in sentenza. Tuttavia, è comunque fatta salva la possibilità di deroga a tale principio  generale nelle circostanze espressamente e tassativamente indicate dal richiamato comma 2 dell’art.15 del D.lgs n°546/1992. Il dato normativo sopra richiamato subordina evidentemente la possibilità da parte del Giudice tributario di compensare le spese processuali (in deroga al principio della soccombenza di cui al richiamato art.96 c.p.c a cui lo stesso art.15 del D.lgs.n°546/ fa espresso richiamo), alla configurabilità di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente menzionate in sentenza.

In particolare, deve trattarsi di ragioni serie e non ordinarie[1] in ordine alle quali il giudice tributario in sentenza dovrà essere chiaro ed esaustivo. Non può intendersi pertanto adeguatamente motivata la sentenza che fa riferimento ai cosiddetti motivi di equità non altrimenti specificati[2], né, quando le argomentazioni del Collegio tributario giudicante si riferiscono genericamente alla peculiarità della vicenda o alla qualità delle parti o anche alla natura  stessa della controversia[3].

Volendo avere riferimenti certi per capire meglio cosa si deve intendere quando la normativa sopra richiamata  parla di “gravi ed eccezionali ragioni basti pensare:

  1. a) alla complessità della vertenza;
  2. b) alla sussistenza di precedenti giurisprudenziali contrastanti;
  3. c) alla novità della questione trattata;
  4. d) alla sopravvenienza di nuove leggi;
  5. e) alla sopravvenienza di pronunce di incostituzionalità;
  6. f) alla sopravvenienza di pronunce interpretative della Corte di Giustizia Europea.

Peraltro verso, possono incidere anche condotte processuali che abbiano  concorso a dilatare i tempi del processo, quali ad esempio, un comportamento processualmente scorretto o non collaborativo delle parti; oppure, la mancata ottemperanza alle ordinanze istruttorie del giudice.

Al di là di tutto, fatte salve le circostanze   come sopra richiamate ciò che rileva in sede di giudicato è evitare un eccesso di compensazione delle spese che incentiva sicuramente le azioni giudiziali o la resistenza in giudizio di chi ha torto, disincentivando parallelamente l’azione di chi ha ragione, violando così i canoni del giusto processo nonché dell’efficacia della tutela giurisdizionale (artt.24 e 111 Cost.).

Altra tendenza sicura dell’ordinamento è quella di ritenere che sia valorizzabile come regola di ripartizione delle spese il criterio della responsabilità”  per la instaurazione o prosecuzione del procedimento, tenendo conto della condotta delle parti anche nella fase procedimentale.

Pertanto, si tende a valorizzare sempre di più la condotta delle parti anche prima del processo, andando a verificare quale di esse non abbia fatto quanto ragionevole per evitare la lite anche in osservanza ai doveri di buona fede. Così, si afferma che deve farsi carico delle spese processuali o di lite, la parte che, con il comportamento assunto in sede stragiudiziale abbia dato imput inevitabilmente alla fase giudiziale omettendo qualsiasi condotta deflattiva rispetto al giudizio stesso[4].

Nella stessa direzione, rileva sicuramente la previsione normativa di cui all’art.15 comma 2 octies c.p.c.  in cui è espressamente disposto che qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dalla controparte senza una giusta motivazione, restano a carico della seconda le spese del processo nel caso in cui il riconoscimento delle sue pretese risulta ex post inferiore rispetto al contenuto della proposta stessa fatta inizialmente in sede stragiudiziale.

Deve essere precisato altresì, a parere di chi scrive che, la soccombenza processuale nella casistica sopra richiamata dovrà essere applicata non solo quando la pretesa disposta dal giudice sia inferiore a quella proposta in sede conciliativa, ma, anche nel caso in cui la stessa risulta pari a quella proposta in sede di accordo bonario, Poiché, anche in tal caso, si capisce bene che la prosecuzione del giudizio è stata praticamente inutile.

 

– La Sentenza N°11217 del 31/05/2016 pronunciata dalla Corte di Cassazione:

La pronuncia della Corte di Cassazione in commento, ad avviso di chi scrive rileva non poco poichè si colloca  evidentemente nel solco dei principi normativi e giurisprudenziali sopra richiamati, avendo ritenuto i Giudici di Palazzaccio assolutamente non congrua in chiave motivazionale la sentenza che dispone la compensazione delle spese di lite (in espressa deroga al principio della soccombenza di cui all’art.15 comma 2 del D.lgs.n°546/1992) previo utilizzo della generica formula spesso utilizzata in sede di giudicato:” peculiarità della materia del contendere”.

In particolare, i Giudici di legittimità nel caso di specie hanno ritenuto il capo della sentenza impugnata relativo al regolamento delle spese processuali meritevole di cassazione con conseguente rinvio alla Commissione tributaria regionale della campania che in diversa composizione provvederà in ordine alle spese processuali relative al procedimento giudiziale di cui si tratta.

Tuttavia, è comunque fatta salva la possibilità del giudice tributario di dichiarare in tutto o in parte compensate, ossia, destinate a rimanere in tutto o in parte a carico di chi le ha sostenute, le spese in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono necessariamente essere espressamente motivate in sentenza secondo quanto disposto dal più volte richiamato art.15 comma 2 del D.lgs.n°546/1992. Il dato normativo ci porta a sostenere che, in tema di liquidazione delle spese, la compensazione delle stesse costituisce chiaramente una eccezione rispetto alla regola generale della soccombenza processuale.

In altre parole, il principio generale dispone che paga chi provoca la lite e, di regola, si intende che provochi la lite chi si trova nel torto. La regola generale vuole che chi è titolare di un diritto leso non debba subire la soccombenza processuale in termini di spese processuali per ottenerne il riconoscimento in sede giurisdizionale.

 

Conclusioni:

A parere di chi scrive, può dirsi  condivisibile l’orientamento ultimo assunto dai Giudici di legittimità i quali nella pronuncia in commento hanno ritenuto che la Commissione tributaria regionale non abbia fatto corretta applicazione della normativa contenuta nell’art.15 comma 2 del più volte richiamato D.lgs.n°546/1992 ritenendo, il Collegio tributario giudicante sussistenti i presupposti per giustificare la compensazione delle spese processuali, pur esimendosi il giudice tributario da qualsiasi giustificazione in tal senso, in deroga espressa al precetto normativo  contenuto nel richiamato art.15 comma 2 del D.lgs.n°546/1992.

In particolare, la giurisprudenza prevalente ritiene che la pronuncia avente ad oggetto la compensazione delle spese processuali è da ritenersi insindacabile in sede di legittimità, eccetto i casi in cui siano espresse ragioni palesemente illogiche tali da inficiare per la loro stessa inconsistenza o palese erroneità il processo formativo della volontà decisionale[5].

In particolare, proprio sulla questione delle spese processuali la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite in concomitanza della pronuncia N°20598 del 30/07/2008[6] ha sancito la necessità che il provvedimento di compensazione delle spese processuali trovi sempre e comunque un adeguato supporto motivazionale.

Pertanto, l’obbligo motivazionale in tal senso dovrà ritenersi assolto nel caso in cui la parte motiva della sentenza contenga considerazioni giuridiche o di fatto tali da risultare idonee per potere giustificare la regolazione delle spese processuali adottata in sede di giudicato.

A titolo esemplificativo,volendo fare dei riferimenti precisi possiamo dire che sicuramente risulterebbe motivata in sentenza la compensazione delle spese di lite qualora nella parte motiva del giudicato, si facesse riferimento a:

  • oscillazioni giurisprudenziali sulla questione di merito;
  • oggettive difficoltà di accertamenti di fatto idonee a incidere sulla conoscibilità delle ragioni espresse dalle parti nei loro atti difensivi;
  • palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste;
  • comportamento processuale eccessivamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali.

Ne deriva che, la decisione disposta dal Collegio tributario deve considerarsi priva di motivazione allorquando contenga la tautologica affermazione secondo cui:”sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio” ovviando il giudice tributario  a qualsiasi giustificazione congrua in tal senso.

E’ questa la casistica davanti alla quale si è trovata la Corte di Cassazione nella vicenda sopra richiamata  e definita con la sentenza N°11217 del 31/05/2016 in commento  che, se vogliamo ha ribadito un orientamento ormai pacifico sulla questione espresso anche dalle Sezioni Unite e recepito da altre pronunce che si sono espresse in tal senso[7].

Del resto, tale orientamento giurisprudenziale sembra  avere trovato una ulteriore conferma, ove ce ne fosse stato bisogno in termini di legittimità, anche nelle modifiche ultime apportate dal D.lgs.n°156/2015 alla normativa contenuta nel D.lgs.n°546/1992 in vigore dal 1°gennaio 2016.

Mi riferisco, in particolare alle previsioni normative contenute nel più volte richiamato art.15, comma 2 bis – 2ter -2quater – 2quinquies- 2sexies- 2 septies- 2 octies che per certi versi non avrebbero senso nel caso in cui fosse dato adito ad una sorta di “automatismo” nella compensazione delle spese processuali.

[1] Cfr. Cass. 17/09/2015, n°18276

[2] Cfr. Cass.13/07/2015, n°14546.

[3] Cfr. Cass.17/09/2015, n°18276.

[4] Cfr. Cass. 13/01/2015, n°373.

[5] Cfr. Cass. 3218/2008; Cass.23719 del 21/10/13.

[6] Nella richiamata pronuncia, le Sezioni Unite civili hanno affermato che «Il potere del giudice di pronunciare la compensazione fra le parti dell’onere circa il sostenimento delle spese del giudizio non è arbitrario, discrezionale o svincolato dalla correlativa disposizione che impone ­ in conformità ai canoni del giusto processo ed effettività del diritto di difesa ­ di gravare il soccombente del costo economico della lite. Conseguentemente, laddove il giudice ritenga di derogare a tale principio devono essere manifestate in modo intellegibile le ragioni che conducono a detta conclusione desumibili anche dalle statuizioni contenute nella motivazione della decisione. Ragioni che possono essere costituite da oscillazioni giurisprudenziali sul thema decidendum, oggettive difficoltà di accertamento dei fatti dedotti in causa, ovvero palese sproporzione fra l’interesse realizzato dalla parte vittoriosa ed il costo delle attività processuali richieste.».

[7] V. ex multis: Cass. 12/12/2011, n°26580.