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L’articolazione della prova nel nuovo processo tributario

Una delle principali novità introdotte dalla riforma del processo tributario è sicuramente quella che riguarda i meccanismi probatori o meglio l’articolazione della prova davanti al giudice tributario. Non c’è dubbio che l’attività istruttoria esperibile da ciascuna delle parti in giudizio rappresenta la fase topica al fine di dimostrare al Collegio tributario  la fondatezza delle ragioni addotte nei propri scritti difensivi. In particolare, sono due le novità introdotte dalla recente  riforma in chiave istruttoria:

a)- la necessità per l’ufficio impositore di dimostrare sub judice le ragioni che confrigurano la violazione tributaria contestata al contribuente con l’avviso di accertamento; diciamo un onere probatorio rafforzato a carico dell’ufficio impositore;

b)- l’utilizzo da parte del giudice tributario, sia pure condizionato, della prova testimoniale che  finalmente vanifica il divieto di cui all’art.7, comma 4 del D.lgs.n°546/1992 tanto discusso, parificando per certi versi la giurisdizione tributaria alle altre giurisdizioni che già da tempo prevedono l’utilizzo della prova testimoniale in fase istruttoria ( giurisdizione penale,  giurisdizione civile).In particolare, il legislatore  ha previsto la possibilità per il giudice tributario di ammetetre la prova testimoniale sia pure in presenza di specifici presupposti, subordinandone la possibilità di utilizzo nelle forme della testimonianza scritta ex art.257 bis cpc. Il legislatore avrebbe potuto fare sicuramente di più e meglio; tuttavia, la possibilità demandata al collegio tributario di  utilizzare la prova testimoniale in fase istruttoria rappresenta sicuramente un notevole passo in avanti rispetto alla situazione preesistente pur essendo il processo tributario evidentemente un giudizio  “cartolare”.

 

 

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 -Onere della prova “rafforzato” a carico dell’ufficio sulla configurabilità della violazione tributaria a carico del contribuente

Come già segnalato in premessa, una delle novità introdotte dalla riforma del processo tributario è quella che riguarda l’onere della prova “rafforzato” a carico dell’ufficio impositore circa la configurabilità della violazione tributaria contestata dall’AdE con l’avviso di accertamento  emesso e notificato a carico del  contribuente. In particolare, nell’art.6 del D.lgs.n°546/1992 è stato introdtto il comma 5 bis in cui è disposto espressamente che:”l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto  impugnato”. La previsione normativa appena richiamata prosegue precisando che il giudice tributario fonda la sua decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio, annullando, pertanto, l’atto impugnato se gli elementi probatori offerti in giudizio dall’ufficio risultano insufficienti o contraddittori o se risultano evidentemente labili e non convincenti per dimostrare in modo circostanziato e puntuale la fondatezza della pretesa impositiva, così come richiamata nell’avviso di accertamento notificato In altre parole, a seguito della entrata in vigore della novella spetta all’ufficio impositore dare prova al giudice tributario adito sulla configurabilità delle ragioni oggettive che hanno legittimato la richiesta erariale nonché l’irrogazione delle relative sanzioni. Da una lettura testuale della previsione normativa sopra richiamata emerge chiara la volontà del legislatore di porre a carico dell’Amminstrazione finanziaria l’onere di provare sub judice le ragioni che hanno legittimato la pretesa impositiva contenuta nell’avviso di accertamento; ciò, al di là dell’attività istruttoria preliminare già espletata dall’ufficio impositore in fase di accertamento. In altre parole, si tratta di un onere probatorio che potremmo definire  “rafforzato” che dovrà portare l’ente impositore a dimostrare al giudice tributario adito, in modo puntuale e circostanziato, le ragioni in punto di fatto e di diritto che hanno legittimato l’emissione dell’avviso di accertamento. Difficile capire quale sarà la portata reale che avrà tale previsione normativa.

Molti  ritengono che si tratti di una norma che rimarrà  probabilmente disapplicata e pertanto lettera morta, non andando ad incidere più di tanto sul modus operandi dell’ufficio mpositore. In particolare, diventa difficile capire come l’A.F possa ulteriormente provare in sede giudiziale le ragioni specifiche che hanno legittimato la propria pretesa erariale. Per cui, secondo la nuova disposizione di legge (comma 5 bis dell’art.6 del D.lgs.n°546/1992) il collegio tributario adito dovrebbe fondare la propria decisione non tanto sugli elementi cartolari rinvenienti dalla lettura testuale dell’avviso di accertamento, bensì valutando gli elementi di prova offerti dall’A.F in giudizio qualora l’ufficio assolva a tale onere probatorio. In mancanza, o meglio in caso di elementi probatori insufficienti o evidentemente contraddittori caratterizzati da fatti non circostanziati e puntuali il giudice tributario dovrà procedere all’annullamento dell’atto opposto. Si tratta di un orientamento normativo che contrasta espressamente con la posizione giurisprudenziale della Corte di Cassazione che in una miriade di pronunce ha invece posto a carico del contribuente l’onere “rafforzato” di provare l’infondatezza della pretesa impositiva esternata dall’ufficio, applicando il principio dell’onere della prova contraria  così come disposto dall’art.2697 comma 2 cc.

 

L’utilizzo della prova testimoniale nel nuovo processo tributario. Limiti e condizioni

Una delle novità più interessanti della riforma sul processo tributario prevede una deroga sia pure parziale dell’art.7,comma 4 del D.lgs.n°546/1992 che tanto ha fatto discutere negli anni poiché la previsione normativa   previgente disponeva nella sua vecchia versione il mancato utilizzo nel giudizio tributario  del giuramento e della prova testimoniale. Infatti, da più parti era stato messo in evidenza come il divieto della prova testimoniale nel processo tributario fosse in contrasto con il principio costituzionale della partità delle armi tra parti processuali. Pertanto, sia pure dopo diversi decenni finalmente l’art.4, comma 4 del D.lgs.n°546/1992  dispone l’ammissione e quindi l’utilizzo della prova testimoniale anche nel processo tributario, pur essendo  tale strumento istruttorio subordinato ad alcuni paletti imprescindibili.

In particolare, la nuova versione dell’art.4 del più volte richiamato D.lgs.n°546/1992 alla lett c) dispone la possibilità di utilizzo della prova testimoniale qualora il collegio tributarioi adito lo ritenga necessario ai fini della decisione sia in primo grado sia nel giudizio di gravame, pur senza l’accordo delle parti costituite in giudizio.  La nuova disposizione di legge fa salva la possibilità per il giudice tributario di richiedere tale mezzo di prova previa analisi del contesto che ha legittimato l’attivazione del  giudizio tributario nonché la peculiarità della controversia in corso, prescindendo dalla  stessa volontà delle parti  circa l’utilizzo della prova  per teste.

In particolare,  la prova è assunta nel giudizio tributario nelle forme della testimonianza scritta ex art.257 bis cpc; ossia, assumendo la deposizione e chiedendo al testimone citato di fornire per iscritto e nel termine fissato dal giudice adito  le risposte ai quesiti in ordine ai quali deve essere ascoltato. Il giudice tributario può anche disporre che la parte che abbia richiesto espressamente l’utilizzo della prova testimoniale predisponga il modello di testimonianza notificandolo successivamente al teste indicato negli atti processuali. Il ridetto modello sarà successivamente compilato a cura del testimone il quale dovrà rispondere a tutti i quesiti indicando espressamente quelli a cui eventualmente non è in grado di dare risposta previa motivazione specifica. Ultimata la compilazione dell’apposito modello, spetta allo stesso testimone citato spedire le risposte in busta chiusa con plico raccomandato destinandolo alla cancelleria del giudice tributario adito. Una volta ricevuto il questionario debitamente compilato dal teste il giudice tributario davanti al qual pende il giudizio  tributario potrà eventualmente anche convocare il testimone in presenza, al fine di fargli deporre innanzi al Collegio quanto indicato nel questionario. Si tratta tuttavia di una facoltà riconducibile alla volontà espressa del giudicante.

Altra conditio a cui è strettamente subordinato l’utilizzo della prova testimoniale nel processo tributario è riconducibile all’ultimo capoverso del comma 4 dell’art.4 del D.lgs.n°546/1992 nel quale è espressamente previsto che nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso la prova testimoniale è ammissibile solo nel caso in cui la stessa  verte su fatti e circostanze diverse rispetto a quelle certificate nonché attestate dal pubblico ufficiale incaricato. Pertanto,  per esempio, gli avvisi di accertamento emessi dall’AdE riconducibili a pvc redatti dalla GdF in sede di verifica in cui vengono richiamati fatti specifici comprovati da dichiarazione rese da terzi in sede di  accertamento o dichiarati dallo stesso contribuente, non potranno essere messi in discussione previo utilizzo della prova testimoniale. In tali casistiche, il contribuente dovrà necessariamente proporre querela di falso, al fine di scongiurare l’attendibilità di quanto certificato dai militari in sede di verifica. Pertanto, è  preclusa  nelle  casistiche  espressamente richiamate dalla novella, l’utilizzo della prova per teste finalizzata a disattendere fatti e circostanze attestate  dalla GdF in concomitanza dell’accertamento.

Allo stato degli atti la novella che ha interessato l’art.7 del D.lgs. N°546/1992 avrà sicuramente il suo peso nell’articolazione della prova sub judice; tuttavia, è importante capire l’utilizzo che ne vorranno fare le Corti di giustizia tributaria. Ciò che appare limitante non è tanto la forma scritta prevista dal richiamato art.257 bis cpc della testimonianza quanto la possibilità  di utilizzo “condizionata” del nuovo mezzo di prova.

Non cè dubbio che si tratti di uno strumento istruttorio destinato a favorire principalmente il contribuente escludendo la possibilità che l’AdE possa chiedere l’utlizzo della prova testimoniale, almeno nel giudizio di primo grado. Resta poi da capire se il richiamo espresso alla disposizione normativa di cui all’art.257 bis cpc è integrale e quindi, comprende anche la parte in cui la norma prevede che in caso di inadempienza da parte del testimone, ossia, in caso di mancata spedizione o mancata  consegna del plico contenente le risposte scritte ai quesiti  così come formulati dal giudice tributario, lo stesso possa  essere condannato alla pena pecuniaria    prevista dall’art.255, comma 1 cpc per un importo che va da un minimo di euro 100 ad un massimo edittale di euro 1.000.

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Prof. avv. DURANTE Giuseppe

Professore a contratto in diritto tributario  presso la Facoltà di Economia  dell’ l’Università LUM “G. De Gennaro” in Bari – Tributarista – Pubblicista