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Fatture riferite ad operazioni inesistenti: spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare il dolo del contribuente

In caso di fatture riferite ad operazioni soggettivamente inesistenti spetta all’Amministrazione finanziaria  dare prova circa la consapevolezza del contribuente di partecipare ad un meccanismo fraudolento. E’ quanto ha disposto la Corte di cassazione in concomitanza della Sentenza N°9588 del 05 aprile 2019. Si tratta di un arresto giurisprudenziale con il quale i Giudici di Legittimità  hanno confermato un principio ormai consolidato secondo cui, in caso di contestazione al contribuente di operazioni soggettivamente inesistenti,spetta all’ufficio accertatore l’onere di provare ex art.2697 c.c. non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma contestualmente anche la consapevolezza del destinatario in ordine al fatto che l’operazione contabile fosse tacitamente funzionale per concretizzare l’evasione d’imposta. In altre parole, i Giudici di Palazzaccio hanno disposto  a carico dell’ufficio accertatore il doppio onere probatorio ossia quello riconducibile alla inesistenza del fornitore a cui deve aggiungersi la prova in ordine alla chiara conoscenza del destinatario sul fatto che l’operazione contabile sia stata posta in essere al fine di evadere il pagamento delle imposte del caso. A seguito della pronuncia degli Ermellini ci si chiede quale possa essere sia in sede pre-accertativa sia in sede giudiziale il modus operandi specifico attraverso il quale l’ufficio impositore potrà ottemperare al secondo onere probatorio.


 

Il caso:

La questione impositiva posta al vaglio della Suprema Corte di cassazione in sede di legittimità rinviene dalla notifica di un avviso di accertamento a rettifica con il quale l’Agenzia delle entrate contestava ad una SPA un indebita detrazione IVA relativa ad alcune fatture emesse dalla F.M e relative ad operazioni soggettivamente inesistenti per un importo pari a circa  5 milioni di vecchie lire. L’atto impositivo veniva impugnato dalla SPA innanzi alla CTP di Milano che accoglieva il ricorso introduttivo ritenendo l’ufficio decaduto dal potere di accertamento per intervenuta presentazione della dichiarazione di condono, ai sensi dell’art.50 della L.n°413/1991. Anche in sede di gravame la CTR adita rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate confermando così la sentenza di prime cure. La sentenza di seconde cure veniva impugnata dall’ufficio innanzi alla Suprema Corte di cassazione.

 

 

 

– L’onere della prova  nel processo tributario ex art.2697 c.c. e l’utilizzo delle presunzioni:

Nel rapporto tributario tanto più in sede giudiziale e ancora prima in sede di accertamento vale la regola generale non sempre applicata in modo congruo dell’onere della prova dettata dall’art.2697 cc in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

Quanto disposto dal richiamato art.2697 cc. rappresenta il principio cardine in materia di prove pacificamente applicabile anche nel processo tributario.

In concomitanza di un contenzioso tributario l’onere di assolvere al disposto normativo di cui al richiamato art.2697 cc. spetta a colui che riveste nel processo il ruolo di attore in senso sostanziale. Pertanto, in una controversia tributaria avente ad oggetto la legittimità o meno della pretesa tributaria vantata dall’A.F.spetta a quest’ultima l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa tributaria oggetto di contestazione; diversamente, grava sul contribuente che contesta la pretesa impositiva l’onere di provare i fatti modificativi, estintivi e impeditivi della stessa (Cass.Sen.13201/2009).

Quando si parla specificamente di fatti modificativi si deve intendere quelli che tendono a mutare l’oggetto  o il contenuto del credito preteso dall’A.F. mentre i fatti estintivi sono quelli finalizzati a farlo venir meno; da ultimo, i fatti impeditivi  sono quelli che bloccano la pretesa dell’ufficio accertatore.

Spetta pertanto all’A.F. fornire la prova circa l’esistenza dell’an e del quantum della pretesa tributaria  a cui è riconducibile la pretesa fiscale.

Spetta invece al contribuente dare prova in ordine ai fatti che comportano una riduzione della pretesa tributaria, oppure che costituiscono il diritto al rimborso o il diritto all’agevolazione o all’esenzione fiscale.

In tal senso si è espressa la stessa Corte di Cassazione (Cass. Sen. N°2935/2015) disponendo che” la prova del diritto alla deduzione di costi è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio  di vicinanza della prova”.

Nel processo tributario inoltre vi è un largo utilizzo delle presunzioni; in particolare, secondo quanto disposto dall’art.2727 c.c. le presunzioni sono la conseguenza che la legge o il giudice traggono da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto”. Volendo richiamare la distinzione classica delle presunzioni, possiamo dire che le stesse si distinguono in:

-presunzioni legali assolute;

-.presunzioni legali relative;

-presunzioni semplici.

Generalmente, avverso una presunzione legale assoluta è preclusa qualsiasi prova contraria poichè nel caso di specie non è possibile applicare il principio della libera valutazione delle prove così come disposto  dall’art.116 c.p.c.

 

Nel diritto tributario le principali presunzioni legali cosiddette assolute sono:

-le presunzioni di percezione degli utili per effetto della trasparenza (art.5TUIR);

– la presunzione di distribuzione prioritaria degli utili ( art.47, comma 1 TUIR);

– La presunzione di residenza fiscale ai fini delle imposte sui redditi (art.2 comma 2 TUIR e art.73 comma 3 TUIR).

Diversamente da quanto è previsto per le presunzioni legali assolute per le presunzioni relative è fatta salva la possibilità della prova contraria; tuttavia, le stesse implicano necessariamente un inversione dell’onere della prova. Secondo quanto disposto dalla previsione normativa di cui all’art.2729 c.c. le presunzioni semplici sono “lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”.

Generalmente, i fatti sui quali esse si fondano devono essere provati in sede giudiziale e il relativo onere grava sull’Amministrazione finanziaria a cui spetta dimostrare che gli elementi presuntivi posti a base della pretesa impositiva hanno i requisiti della gravità, precisione e concordanza.

 

-La pronuncia della Corte di Cassazione nella Sentenza n°9588 del 05/04/2019 e il doppio onere

probatorio a carico dell’Agenzia delle entrate in caso di fatture riferite ad operazioni inesistenti:

Rappresenta un principio generale  ormai consolidato quello per cui ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti spetta all’Amministrazione finanziaria assolvere ex art.2697 cc  ad un doppio onere  probatorio:

  1. a) provare l’oggettiva fittizietà del fornitore a cui è ricondotta l’operazione contabile;
  2. b) dimostrare la chiara consapevolezza del destinatario in ordine al fatto che l’operazione contabile in questione rientra in un preciso quanto meditato modus operandi finalizzato a concretizzare l’evasione d’imposta.

In altre parole, nella pronuncia in commento gli Ermellini confermando un orientamento già palesato in altre pronunce hanno disposto a carico dell’ufficio accertatore l’onere imprescindibile di  dimostrare, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici che il contribuente era perfettamente a conoscenza o avrebbe comunque dovuto esserlo utilizzando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, circa la sostanziale inesistenza del contraente.

Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria assolva al ridetto onere probatorio in sede istruttoria in applicazione del principio dell’inversione dell’onere della prova spetterà al contribuente fornire la prova contraria; ossia, l’obbligo di dimostrare previo richiamo a circostanze nonchè ad elementi documentali specifici, di avere adoperato, per non essere coinvolto in un operazione finalizzata ad evadere le imposte, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo quelli che sono i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto non assumendo rilevanza nel caso di specie, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici  dalla rivendita delle merci o dei servizi (cfr. Cass., Sez. 5, 20/04/2018, n°9851).

Nel caso di specie l’aspetto comportamentale o meglio la condotta specifica assunta dal contribuente rapportato al caso specifico (operazione contabile) va oltre l’aspetto della regolarità contabile che assume  nel caso de qua una valenza secondaria  se rapportata alla configurabilità o meno di un comportamento doloso; ossia, in ordine alla piena consapevolezza e coscienza del contribuente che l’operazione contabile accertata dall’ufficio impositore rientra in un preciso quanto meditato modus operandi finalizzato a concretizzare l’evasione d’imposta riferita al singolo tributo o a più tributi.

Nella casistica posta al vaglio dei Giudici di Palazzaccio  gli stessi in applicazione dell’art.2697, comma 1 c.c.  hanno posto a carico dell’ufficio accertatore il doppio onere probatorio possiamo dire oggettivo  e soggettivo.

Il primo quello soggettivo riconducibile alla inesistenza del fornitore a cui deve aggiungersi quello oggettivo ossia, la prova certa e inconfutabile in ordine alla chiara conoscenza del destinatario sul fatto che l’operazione contabile sia stata posta in essere al fine di evadere il pagamento delle imposte del caso, configurandosi nel caso di specie un comportamento chiaramente doloso finalizzato ad una chiara evasione d’imposta.

Preso atto dell’orientamento ultimo  palesato dalla Suprema Corte di Cassazione nella pronuncia in commento in materia di onere della prova, ad avviso di chi scrive, rileva senz’altro capire quali possono essere le modalità specifiche in fase istruttoria attraverso cui l’ufficio in sede accertativa ma anche in sede giudiziale può assolvere in modo congruo e soddisfacente al secondo onere probatorio in piena osservanza a quanto disposto dal più volte richiamato art.2697 comma 1 c.c. al fine ultimo di implementare l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente destinatario della pretesa impositiva.

Tenendo presente che il processo tributario ancora oggi sconta l’inutilizzabilità delle prova testimoniale riconosciuta e applicata in altre giurisdizioni, spetterà all’ufficio provare il comportamento doloso e consapevole del contribuente attraverso l’utilizzo di prove documentali nonchè riferimenti circostanziati.