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Non scontano l’imposta i cartelli con mappe orientative o con il semplice marchio dell’impresa all’interno dei centri commerciali

E’ quanto ha disposto la CTR Lombardia nella sentenza depositata il 20/12/2017 che ha accolto l’appello della  società in sede di gravame. Nel caso di specie, la società appellante ha lamentato l’ingiustificata pretesa impositiva ICP disciplinata dal D.lgs.n°507/1993, ritenendo non sussistenti nel caso di specie, i presupposti d’imposta richiesti dal Decreto sopra richiamato. In altre parole, la semplice esposizione del marchio dell’impresa nonché le mappe orientative poste all’interno del centro commerciale con il solo nome della società, non possono dirsi condizioni sufficienti per giustificare la pretesa impositiva comunale. Diversamente, l’insegna o il cartello deve promuovere espressamente l’acquisto di prodotti in vendita nonché orientare le scelte del cliente in qualità di potenziale acquirente. E’ questo un orientamento avvallato, sia pure indirettamente in sede di Legittimità dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n°15247 del 16/07/2020. In particolare, per quanto i Giudici di Palazzaccio abbiano dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione, sotto l’aspetto meramente procedurale così come inoltrato dalla società concessionaria del servizio di riscossione dei tributi comunali, tuttavia, gli Ermellini hanno comunque ritenuto “non censurabile” il giudicato di seconde cure depositato dai Giudici tributari di appello i quali hanno disposto la “non idoneità” di alcuni impianti ad essere definiti quali installazioni pubblicitarie nonostante fossero esposti in un luogo aperto al pubblico.


 

  • Il caso

La questione impositiva (ICP) posta al vaglio dei Giudici di Palazzaccio rinviene nel caso di specie dal deposito della sentenza della CTR Lombardia in concomitanza nella quale i Giudici tributari di appello accoglievano le ragioni del contribuente, ritenendo non sussistenti i presupposti di cui al D.lgs.n°507/1993. Facendo seguito al deposito del giudicato in sede di gravame la società concessionaria del servizio di riscossione tributi ricorreva in cassazione con unico motivo di ricorso, al fini di ivi chiedere la censura della sentenza di appello. In particolare, parte ricorrente lamentava la violazione nonché la falsa applicazione dell’art.5, comma 1 del D.lgs.n°507/1993 ritenendo i cartelli e le insegne configurabili nel caso di specie, veri e propri mezzi pubblicitari assoggettabili ad imposta comunale. In particolare, trattasi secondo la società concessionaria della riscossione ricorrente di messaggi pubblicitari che soddisfano pienamente il requisito della diffusione poiché esposti in luoghi aperti al pubblico (centro commerciale); per cui, già la mera esposizione del logo identificativo dell’attività commerciale è conditio sufficiente per la configurabilità del presupposto d’imposta di cui al D.lgs.n°507/1993, art.5 comma 1 Si tratta in sostanza di un vero e proprio messaggio pubblicitario finalizzato a portare a conoscenza di una massa indeterminata di soggetti quali potenziali acquirenti, il nome dell’attività nonché il prodotto commercializzato dall’impresa. Si costituiva in sede di legittimità il controricorrente il quale nei termini di legge contestava i motivi di censura posti dalla parte ricorrente ritenendo  fondato l’orientamento assunto dai giudici tributari in sede di gravame.

 

 

  • L’Ordinanza N°15247 del 16 luglio 2020 della Corte di Cassazione

L’orientamento assunto dai Giudici di Palazzaccio nell’Ordinanza in commento rileva in considerazione del fatto che non è  proprio pacifico l’orientamento assunto dalla stessa Corte di Cassazione in materia di ICP riferita ad insegne o cartelli posti all’interno di centri commerciali in quanto luoghi aperti al pubblico secondo le definizioni rinvenienti dalle norme di pubblica sicurezza Infatti, sulla questione impositiva (ICP) sussiste un orientamento giurisprudenziale  evidentemente difforme che  negli ultimi anni non ha certo contribuito ad aiutare   contribuenti e comuni impositori.

Con riferimento al caso di specie la questione impositiva ICP posta al vaglio degli Ermellini riguarda un certo numero di installazioni di vario genere (portaombrelli, vetrofonie con indicazione degli orari di apertura dell’esercizio commerciale, avvisi di wi-fi gratis, mappe, ecc.) recanti il nome della ditta   e considerati dall’ente impositore veri e propri messaggi pubblicitari. Da qui, l’emissione da parte del comune  di avvisi di accertamento ICP riconducibili al mancato pagamento dell’imposta in questione.

In particolare, nel caso di specie, la soggettività passiva che ha legittimato la richiesta di pagamento del tributo comunale  rinviene dal fatto che i messaggi (pubblicitari) o meglio quanto indicato in vetrofonia o sui pannelli secondo il comune impositore soddisfano pienamente il requisito della diffusione pubblicitaria poiché esposti in luoghi aperti al pubblico (centro commerciale) e destinati ad una quantità indeterminata di soggetti quali potenziali acquirenti.

Per cui, secondo il comune impositore anche la mera esposizione del logo identificativo dell’attività, anche se accompagnato da avvisi di vario genere, costituisce comunque  ex se un vero e proprio messaggio pubblicitario poiché informa una massa indeterminata di soggetti. L’orientamento palesato dall’ente impositore non è stato tuttavia condiviso dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia in sede di gravame che  diversamente da quanto prospettato dall’ente impositore ha ritenuto non sussistente il presupposto d’imposta di cui al richiamato D.lgs.n°507/1993 – art.5, comma 1 poichè con riferimento  al segno distintivo dell’impresa o del prodotto destinato alla vendita (ditta, ragione sociale, marchio) non è sufficiente la sola esposizione  dello stesso in un luogo aperto al pubblico bensì è necessario considerare attentamente  anche alle modalità  attraverso le quali avviene l’esternazione del messaggio.

Tanto rilevato,  i giudici tributari di appello non hanno potuto  disattendere la circostanza riferita alla “non idoneità “ di alcuni impianti ad essere considerati installazioni pubblicitarie. E’ il caso per esempio, delle mappe orientative esposte in un centro commerciale o, comunque, più in generale di oggetti sui quali la esposizione del nome indica l’appartenenza all’impresa, ovvero, di cartelli che non espongono il nome dell’impresa.

Con riferimento all’orientamento palesato dai Giudici tributari di appello nella casistica in esame, gli Ermellini pur disponendo l’inammissibilità del ricorso per cassazione a seguito dell’inosservanza, da parte del ricorrente, delle disposizioni normative di cui all’art.360 cpc, tuttavia, la stessa Corte di Cassazione nell’Ordinanza in commento ha considerato  “non censurabile” il giudicato espresso dalla CTR Lombardia  avendo considerato, i giudici tributari del gravame, la non idoneità di alcuni impianti ad essere considerati installazioni pubblicitarie: e’ il caso per esempio,delle mappe orientative esposte all’interno di un centro commerciale, nonché, di oggetti sui quali la esposizione del nome indica l’appartenenza all’impresa; ovvero, di cartelli che non espongono il nome dell’impresa.

In altre parole, la CTR adita in sede di gravame ha accolto la tesi del contribuente ispirandosi ad un principio di diritto sostanzialmente corretto, pur se non compiutamente esposto in quanto l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) è da considerare forma pubblicitaria ed in quanto tale soggetto ad imposta quando per il luogo (pubblico o aperto al pubblico) ove è situato, per le sue caratteristiche strutturali o per le modalità con il quale viene utilizzato il messaggio risulta oggettivamente “idoneo” a fare conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o meglio  utenti il nome l’attività commerciale o il prodotto dell’impresa, non avendo pertanto, il messaggio,  solo una mera finalità distintiva.