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Il ruolo dell’avvocato tributarista nella scelta degli istituti deflattivi del contenzioso tributario a tutela dell’impresa

Relazione  della CAT Matera al Congresso Nazionale dell’UNCAT

Napoli 13 – 14 dicembre 2019

 

Relatore :

Presidente della CAT Matera 

Avv. Giuseppe DURANTE

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 La peculiarità degli Istituti deflattivi  del contenzioso tributario:

 

La funzione propria  o meglio la peculiarità principale attribuita dal legislatore ai cosiddetti istituti deflattivi del contenzioso tributario attivabili nella fase pre-contenziosa ma anche in quella prettamente giudiziale ha assunto negli ultimi tempi una ruolo sicuramente più rilevante ed incisivo rispetto al recente passato proprio in chiave  deflattiva  rispetto al contenzioso tributario potenziale.

Non è un caso che i recenti interventi legislativi abbiano confermato la tendenza del legislatore in favore di un modello di progressivo sfoltimento della fase cosiddetta processuale del sistema.

In particolare, la valorizzazione di istituti quali la mediazione tributaria o la conciliazione giudiziale nonché il recente ricorso ai meccanismi di definizione agevolata delle liti tributarie ha sicuramente evidenziato un forte interesse rinnovato verso qualsiasi forma di dialogo tra Amministrazione finanziaria e contribuente che  da sempre  concretizzano quello che tecnicamente viene definito “rapporto giuridico d’imposta”.

Si tratta di istituti la cui applicazione si pone quale valida alternativa alla definizione giudiziale delle controversie tributarie.

E’ di tutta evidenza che una simile evoluzione deve certamente guardarsi con favore nella misura in cui ad un mirato intervento del legislatore si accompagna una diffusa consapevolezza del ruolo socio-economico dei soggetti che caratterizzano il rapporto tributario. Infatti, non deve essere disattesa la tendenza ancora radicata di volere ricondurre il rapporto processuale tributario negli schemi di quello processuale civilistico in  cui è netta la divergenza degli interessi in gioco riconducibili a ciascuna delle parti in causa.

Diversamente bisogna intraprendere con trasparenza, buona fede e obiettività un ruolo imprescindibile (anche da parte dell’avvocato tributarista incaricato ) finalizzato alla realizzazione del comune interesse di natura pubblica. Non è da escludere che una maggiore valorizzazione della fase amministrativa del contenzioso tributario garantirebbe un maggiore grado di tecnicità  a cui molto spesso non fa da contro altare una giurisdizione tributaria competente e qualificata in termini di conoscenza del diritto tributario sostanziale.

Ma questo è un tema fin troppo noto che tuttavia il professionista non deve sottovalutare nell’ottica di una possibile definizione della controversia tributaria con l’A.F. sia nella fase sub judice ma anche in  quella  che precede il giudizio tributario.

Possiamo dire che gli istituti deflattivi del contenzioso tributario si fondano su presupposti essenzialmente diversi da quelli che caratterizzano la transazione fiscale poichè hanno finalità evidentemente diverse. Ad esempio, l’accertamento con adesione  pur prevedendo il consenso del contribuente rimane pur sempre un procedimento che deve necessariamente determinare le imposte dovute da chi è sottoposto all’accertamento tributario sia pure considerando fatti ed argomenti evidenziati dallo stesso contribuente.

Nella mediazione di cui all’art17 bis del D.lgs.n°546/1992 e nella conciliazione giudiziale l’A.F. deve valutare attentamente l’opportunità di un possibile accordo con il contribuente valutando anche  fattori diversi dalla quantificazione dell’imponibile quali ad esempio l’effettivo rischio di soccombenza nel giudizio in considerazione dei motivi di doglianza posti al vaglio del giudice tributario a cui  si interfaccia la possibilità di definire una controversia risparmiando tempo e risorse che in alcuni casi sono più importanti del vantaggio derivante dalla prosecuzione del giudizio.

Diversa è invece la ratio che muove la transazione fiscale che fonda il suo presupposto principalmente sull’incapacità del contribuente di assolvere ai propri debiti tributari indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di somme pacificamente  dovute permettendo all’A.F. il recupero dei crediti tributari nella misura massima possibile in considerazione della situazione di crisi finanziaria in cui un impresa deve necessariamente trovarsi per potersene avvalere, favorendo per quello che sarà possibile  la prosecuzione dell’attività cercando altresì di salvaguardare i dipendenti e i fornitori anche nell’ottica della produzione di ulteriori redditi tassabile.

Detto questo, rileva altresì segnalare che sia l’accertamento con adesione sia la conciliazione giudiziale ma anche la transazione fiscale possono convivere sia nel concordato preventivo sia nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Per quello che riguarda gli istituti deflattivi  attivati nell’ambito della procedura di ristrutturazione

 

 

 

del debito se la definizione del credito dell’A.F. ha luogo mediante adesione del contribuente accertato, mediazione o conciliazione nell’ambito delle trattative relative all’accordo di ristrutturazione, si applicano le norme che disciplinano tali  istituti e la determinazione dell’importo dovuto ha natura novativa. Il pagamento del nuovo importo ridefinito non è pregiudicato diversamente da quanto avviene nel concordato preventivo per effetto dell’art.168 L.F. da alcuna disposizione e, pertanto, può essere eseguito il pagamento dall’impresa debitrice senza autorizzazione del competente Tribunale ferme restando le ordinarie scadenze e l’esclusione della falcidia dell’importo dovuto.

Pertanto, la definizione come già evidenziato ha un effetto novativo e, pertanto, l’ammontare determinato non subisce più alcuna variazione in caso di risoluzione della transazione fiscale, ai sensi dell’art.182 ter comma 6 della L.F.

Per quanto riguarda invece la transazione fiscale attuata nella procedura di ristrutturazione del debito rileva segnalare che la definizione del credito contestato dall’A.F. avviene con la sottoscrizione dell’atto di transazione fiscale proposta dalla debitrice all’AdE senza ricorso agli istituti deflattivi del contenzioso tributario.

La definizione può essere eseguita direttamente a mezzo della transazione fiscale accordandosi sulla debenza tributaria che deve necessariamente tenere conto anche della situazione finanziaria dell’impresa debitrice e una dilazione di pagamento più ampia di quella prevista dagli istituti deflattivi del contenzioso. L’omologazione avente ad oggetto l’accordo di ristrutturazione dei debiti e della concessa transazione fiscale permette anche l’estinzione dei giudizi tributari pendenti fermo restando che in caso di risoluzione della transazione fiscale ai sensi del richiamato art.182 ter comma 6 della L.F. rivive il debito tributario nel suo importo originario, non avendo la transazione un effetto novativo.

Rileva altresì segnalare che in un ottica di compliance fisco- contribuente finalizzata a migliorare sempre di più il rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente cercando di evitare per quello che è possibile il contenzioso tributario caratterizzato da un alea a dir poco ingombrante è intervenuto anche il Decreto Crescita che ha previsto due obblighi fondamentali nei confronti dell’A.F.; in particolare :

– la diffusione dei documenti necessari per assolvere ad un adempimento almeno 60 giorni prima del termine previsto per ottemperarvi;

–  il contraddittorio preventivo nei casi di accertamenti cosiddetti  “a tavolino”;

In particolare, se il Decreto Crescita ossia il D.L. n°34/2019  ha previsto l’eliminazione della distribuzione cartacea dei modelli dichiarativi dall’altro con l’art.4 septies ha disposto che l’Amministrazione  finanziaria si impegni ad   assicurare la diffusione degli  strumenti necessari per

 

assolvere correttamente agli adempimenti fiscali in tempi utili (almeno 60 giorni utili prima della scadenza).

In particolare, il suddetto articolo ha modificato l’art.6 della L.n°212/2000 modificando il comma 3 e inserendo il comma 3 bis. Infatti, la nuova formulazione della norma in commento  prevede che:“l’Amministrazione finanziaria assume iniziative finalizzate a garantire che i modelli di dichiarazione, le relative istruzioni, i servizi telematici la modulistica e i documenti di prassi amministrativa siano messi a disposizione del contribuente con idonee modalità di comunicazione e pubblicità almeno sessanta giorni prima del termine assegnato  al contribuente per l’adempimento al quale si riferiscono.

Pertanto, l’A.F deve assicurare al contribuente la possibilità di poter ottemperare alò meglio agli obblighi tributari  con il  minor numero possibile di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli.

Pertanto, è chiara dalla lettura del decreto Crescita la volontà del legislatore di volere creare condizioni di fatto per rafforzare la compliance tra fisco e contribuente. Ovviamente, è un’occasione che non può non essere ottimizzata da chi come l’avvocato tributarista è chiamato alla massima tutela degli interessi dell’impresa  di cui il professionista si fa portavoce sia in sede accertativa  e pre-contenziosa sia nella fase meramente giudiziale,

 

Analisi dei principali Istituti deflattivi del contenzioso tributario attivati in un’ottica di tutela dell’impresa accertata nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria:

Autotutela

L’istituto dell’Autotutela trova la sua ratio nelle casistiche in cui l’Amministrazione finanziaria prende atto di aver commesso un errore potendo pertanto l’ufficio impositore che ha emesso l’atto annullare il proprio operato e correggere l’errore riscontrato senza necessità di attendere la decisione di del giudice tributario qualora l’atto sia già stato opposto in sede giudiziale: questo potere di autocorrezione è disciplinato dal DM 11.2.1997, n. 37.

Tuttavia, è fatta salva la possibilità di attivazione dell’istituto de quo da parte dello stesso contribuente previa formalizzazione dell’istanza nei confronti dell’A.F. allorquando è palese l’errore commesso dall’Ufficio nella emissione dell’atto impositivo. La funzione deflattiva dell’istituto è chiara in considerazione del fatto che sarebbe inutile portare avanti un giudizio tributario essendo palese l’illegittimità dell’atto opposto anche e soprattutto nell’interesse dell’ufficio impositore avendo quest’ultimo la possibilità di chiedere la cessata materia del contendere annullando in autotutela l’atto impugnato con conseguente compensazione delle spese di lite.

L’atto illegittimo può essere annullato d’ufficio, in via autonoma, o su richiesta del contribuente.

Rileva segnalare che l’inoltro dell’istanza non sospende i termini per la presentazione del ricorso dinanzi al giudice tributario; per cui, sarà necessario dopo la presentazione dell’istanza monitorare il termine utile per la proposizione del ricorso introduttivo nel caso in cui l’istanza viene formalizzata prima dell’attivazione del contenzioso in fase stragiudiziale. Infatti sono diverse le casistiche in cui può essere attivato l’istituto dell’autotutela. In particolare,  l’annullamento può essere disposto se:

  • il contenzioso che è derivato dall’atto illegittimo è ancora pendente;
  • l’atto è divenuto ormai definitivo per decorso dei termini per ricorrere;
  • il contribuente ha presentato ricorso e questo è stato respinto per motivi formali (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità) con sentenza passata in giudicato.

L’annullamento dell’atto illegittimo comporta automaticamente anche quello degli atti ad esso consequenziali e pertanto l’obbligo di rimborso delle somme riscosse in forza dei medesimi.

Tanto rilevato in ordine alle peculiarità specifiche dell’autotutela è opportuno che l’avvocato tributarista demandato a tutelare gli interessi dell’impresa analizzi in prima battuta possibili vizi dell’atto  non tanto formali quanto  sostanziali  e più che altro relativi alla fondatezza della pretesa impositiva cercando di evitare per quanto possibile l’attivazione del giudizio tributario.

 

  • Definizione agevolata delle sole sanzioni

L’istituto in parola consente al contribuente di definire in misura agevolata le sole sanzioni amministrative irrogate con l’avanzamento della pretesa tributaria, riservandogli la possibilità di radicare il contenzioso dinanzi al Giudice speciale competente per contestare le maggiori imposte accertate (art. 16, D. Lgs. 18.12.1997, n. 472).

La definizione permette di pagare, in unica soluzione, nella misura ridotta di un terzo, purché il versamento avvenga entro il termine per la presentazione del ricorso. Essa può perfezionarsi anche nel caso in cui la procedura di accertamento con adesione avviata dal contribuente prima della proposizione del ricorso si sia conclusa con esito negativo. L’importo versato è irripetibile pur in caso di esito favorevole del ricorso.

E’ di tutta evidenza pertanto  la ratio dell’istituto de quo il cui fine evidentemente è quello di consentire al contribuente la possibilità di regolarizzazione dell’aspetto sanzionatorio potendo  beneficiare delle riduzioni previste ex lege,  tuttavia non pregiudicando ciò la possibilità di poter contestare comunque la pretesa impositiva azionata dall’ufficio. E’ questo un istituto a cui è riconducibile una funzione deflattiva parziale il cui utilizzo da parte del professionista dovrà essere valutato qualora si intenda beneficiare della riduzione delle sanzioni magari particolarmente elevate poiché riconducibili a violazioni tributarie gravi (es:omessa dichiarazione,ecc.) non pregiudicandosi tuttavia la possibilità di delegittimare la pretesa del fisco in sede giudiziale

 

 

  • Istanza di accertamento con adesione

Uno degli istituti deflattivi più utilizzati in sede pre-contenziosa e post-accertativa è sicuramente l’accertamento con adesione. Per quanto riguarda l’aspetto normativo e procedurale, l’iter dell’accertamento con adesione  così come disciplinato dal D.Lgs. 19.6.1997, n. 218 consente al contribuente di definire l’avviso di accertamento notificatogli senza ricorrere all’autorità giudiziaria. Possono essere definite le imposte sui redditi, l’IVA, le imposte di successione e donazione, di registro, ipotecaria, catastale.

La procedura può essere attivata dal contribuente mediante la presentazione entro e non oltre 60 giorni dalla notifica dell’atto, di una domanda in carta libera in cui chiede all’ufficio di formulargli una proposta di accertamento per un’eventuale definizione.

Nel caso di invio dell’istanza per posta ordinaria, ai fini dell’interruzione del decorso del termine, vale la data di arrivo all’ufficio, mentre vale quella di spedizione se la stessa è inoltrata con plico raccomandato a/r senza busta. Entro 15 giorni dal ricevimento della domanda l’ufficio formula al contribuente, anche telefonicamente, l’invito a comparire per l’instaurazione del contraddittorio.

L’inoltro dell’istanza determina una sospensione di 90 giorni del decorso dei termini per la presentazione del ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale territorialmente competente. Il raggiungimento o meno dell’accordo avviene in contraddittorio e può richiedere più incontri successivi, per la partecipazione ai quali il contribuente può farsi rappresentare o assistere.

Se le parti raggiungono un accordo, i contenuti dello stesso vengono riportati su un atto di adesione che va sottoscritto da entrambe le parti.

L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione e non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio. L’intera procedura si perfeziona soltanto con il pagamento delle somme risultanti dall’accordo stesso.

Se l’accordo non si raggiunge, il contribuente può sempre presentare ricorso al giudice tributario contro l’atto già emesso dall’ufficio. L’adesione comporta la riduzione delle sanzioni nella misura di un terzo. L’importo dovuto può essere dilazionato, senza obbligo di prestare alcuna garanzia, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano i cento milioni di lire (commutati in euro).

Quali le ragioni che hanno fatto di questo istituto deflattivo il più utilizzato nella fase pregiudiziale?

Intanto, rileva ribadire  che l’inoltro da parte del contribuente della richiesta formale destinata  all’ufficio, di adesione all’atto di accertamento notificato, sospende d’ufficio  per tre mesi il termine utile  per la proposizione del ricorso innanzi al giudice tributario, pur non avendo il contribuente istante alcun obbligo di presentazione innanzi all’ufficio, nel caso in cui per ragioni diverse non volesse più aderire. Tre mesi aggiunti ai due mesi previsti dall’art.21 del D.lgs.n°546/1992  non sono pochi per ponderare bene come muoversi e, soprattutto, come gestire al meglio la situazione nei confronti dell’A.F. vale a dire, se formalizzare di fatto  l’adesione con l’ufficio beneficiando della riduzione delle sanzioni previste ex lege impegnandosi altresì a rinunciare al giudizio tributario; oppure, se intentare l’azione giudiziale facendo salva la possibilità di giocarsi la partita sub judice sulla base di motivi di doglianza sia formali che sostanziali che potrebbero portare ad una delegittimazione dell’atto impositivo.

Il fatto di optare per l’una o l’altra soluzione dipende principalmente da due fattori:

  1. a) avere contezza per tabulas sul fatto che la pretesa impositiva azionata dall’ufficio potrebbe essere fondata in considerazione di possibili violazioni tributarie riconducibili al contribuente per l’annualità accertata; violazioni tributarie che emergerebbero inevitabilmente in una eventuale fase giudiziale;
  2. b) avere contezza in punto di fatto e di diritto con il supporto della giurisprudenza favorevole che l’operato dell’ufficio è evidentemente discutibile con conseguente possibile delegittimazione della pretesa impositiva. In tal caso, sarebbe percorribile l’azione giudiziale finalizzata all’ottenimento di un giudicato favorevole.

Va da se il fatto che il ruolo dell’avvocato tributarista ma direi del consulente incaricato  deve essere proprio quello di scegliere in modo ragionato e  nell’esclusivo interesse dell’impresa l’opzione più adeguata  rispetto alla situazione impositiva  effettiva in cui la stessa impresa si trova relativamente all’anno accertato.

Con riferimento a tale istituto deflattivo non possono essere taciute le recenti modifiche apportate dal decreto Crescita (D.L. n°34/2019) vigenti a partire dal 1°gennaio 2020. Ed in particolare:

– è stato introdotto all’art.5 del D.lgs.n°218/1997 che, disponendo sull’avvio del procedimento di accertamento, obbliga l’ufficio a inviare al contribuente un invito a comparire indicando i periodo d imposta suscettibili di accertamento; il giorno e l,’ora della comparizione per definire l accertamento con adesione; le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni e interessi dovuti.

I motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte, ritenute e contributi.

Il decreto Crescita ha altresì introdotto l’art.5 ter in cui è disposto che l’ufficio impositore ha l’obbligo di avviare  un procedimento di definizione dell’accertamento invitando il contribuente a un contraddittorio prima di prima emettere l’avviso di accertamento, salvo il caso in cui sia stata rilasciata copia del Pvc di chiusura delle operazioni da parte di organi di controllo o di accertamenti parziali (ex art.41 bis DPR 600/1973) o avvisi di accertamento a rettifica parziali (ex art.54 DPR 633/1972) o in ipotesi di fondato pericolo per la riscossione.

 

 

  • Mediazione tributaria

L’istituto  della mediazione (reclamo) è stato introdotto dall’art. 39, co. 9, D.L. 6.7.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella L. 15.7.2011, n. 111, che ha aggiunto l’art. 17 bis al D. Lgs. 31.12.1992, n. 546. Consente al contribuente di definire bonariamente, mediante la presentazione di un reclamo prima dell’instaurazione del contenzioso, le controversie di valore non superiore a € 50.000,00, e relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e notificati a partire dall’1.4.2012.

Il valore della lite va determinato con riferimento a ciascun atto impugnato ed è dato dall’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate; in caso di controversie su sole sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Alla mediazione tributaria non si applica l’istituto della conciliazione giudiziale, ma solo le disposizioni, per quanto compatibili, di cui all’art. 48 del D. Lgs. n. 546 del 1992.

La presentazione del reclamo è obbligatoria e condizione di ammissibilità del ricorso.

L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto.

L’istituto non è incompatibile con la procedura di accertamento con adesione.

Pertanto, nel caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione, il termine per la proposizione dell’eventuale successivo reclamo è sospeso per un periodo di novanta giorni.

Al reclamo va allegata copia dei documenti che il contribuente intende depositare al momento dell’eventuale costituzione in giudizio. Lo stesso può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

L’ufficio, all’esito dell’istruttoria, può accogliere, anche parzialmente, o rigettare l’istanza ovvero può formulare una proposta di mediazione, avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. Dopo novanta giorni (al cui decorso non si applica la sospensione feriale dei termini) dal ricevimento del reclamo da parte dell’ufficio senza che sia intervenuto l’accoglimento, anche parziale, o il diniego dell’istanza, inizia a decorrere il termine di trenta giorni per l’eventuale costituzione in giudizio del contribuente, a cui invece si applica la sospensione feriale. Analogo iter vale nel caso di silenzio-diniego dell’ufficio. Se il procedimento di mediazione si conclude con esito negativo, nell’eventuale successivo giudizio tributario, la parte soccombente è condannata a pagare, in aggiunta alle spese di giudizio, un’ulteriore somma pari al 50% di queste ultime, a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione.

Al di fuori dei casi di soccombenza reciproca la Commissione tributaria può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giuste ragioni (da spiegarsi espressamente nella motivazione) che abbiano indotto la parte soccombente a rifiutare la proposta di mediazione.

La definizione positiva della procedura di mediazione, invece, determina, per il contribuente l’automatica riduzione delle sanzioni al 40%.

Tale beneficio è riconosciuto anche se quest’ultimo decida di pagare interamente l’imposta di cui all’atto impugnato.

Le parti redigono apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute rispettivamente a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale è titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un’unica soluzione o in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o, ancora, in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superino i 50.000 euro. La procedura si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’intero importo o della prima rata. La natura eventualmente deflattiva dell’istituto in questione è ovviamente subordinata al raggiungimento dell’accordo tra le parti; anche in questo caso, come per l’accertamento con adesione è fondamentale vagliare attentamente la fondatezza delle ragioni poste dall’ufficio a fondamento dell’avviso di accertamento. E’ ovvio che trattandosi nel caso di specie di un passaggio obbligato in chiave deflattiva voluto dal legislatore (ex art.17 bis D.lgs.n°546/1992), è consigliabile che la mediazione insita nel ricorso introduttivo che tale non è fino al diniego tacito o espresso formalizzato  dall’ufficio, venga supportata da documentazione  probante la legittimità delle ragioni addotte.

In altre parole, al di là dei motivi di doglianza formalizzati dal ricorrente nel ricorso introduttivo, per quanto riguarda specificamente  la proposta di mediazione è consigliabile che la stessa venga sempre supportata da documentazione attestante la fondatezza della proposta così come formulata dal contribuente nei confronti dell’ufficio. Ciò aumenta le probabilità di un possibile accoglimento della stessa da parte della stessa A.F. potendo così scongiurare l’attivazione del giudizio tributario.

 

  • Conciliazione giudiziale

Con riferimento a tale istituto deflattivo cosa possiamo dire?

 La conciliazione giudiziale è lo strumento attraverso il quale il contribuente che abbia intrapreso una causa contro l’Erario può chiuderla, parzialmente o integralmente, prima che sia emessa sentenza (art. 48, D. Lgs. 31.12.1992, n. 546). L’istituto può trovare applicazione per tutte le controversie in ordine alle quali hanno giurisdizione le Commissioni tributarie provinciali e non oltre la prima udienza. La proposta può essere formulata:

  • dalla Commissione adita che, d’ufficio, può esperire tra le parti il tentativo di conciliazione;
  • dalle parti stesse (contribuente, Agenzia delle Entrate, Ente locale, agente della riscossione).

Il tentativo non è vincolante. Infatti, se l’accordo non si raggiunge, il contenzioso prosegue.

La conciliazione può avvenire in udienza.

In tal caso, la Commissione adita redige apposito verbale nel quale sono indicate le somme dovute dal contribuente a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi.

Il verbale è titolo per la riscossione. Se la conciliazione, invece, si perfeziona fuori udienza, l’ufficio, prima della fissazione della data di trattazione, provvede a depositare presso la segreteria della Commissione una proposta con l’indicazione dei contenuti dell’accordo.

L’intera procedura si chiude con il pagamento delle somme risultanti dall’accordo stesso. Solo così, infatti, si può ritenere definito il rapporto tributario Se l’accordo è confermato, il Presidente della Commissione dichiara, con decreto, l’estinzione del giudizio. L’intervenuta conciliazione determina la riduzione della sanzione al 40% delle somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima.

Il pagamento può essere dilazionato, senza obbligo di prestare alcuna garanzia, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano € 50.000,00.

Anche in questo caso è doveroso da parte dell’avvocato tributarista incaricato di tutelare gli interessi dell’impresa vagliare in modo ragionato le probabilità di soccombenza della stessa società in giudizio.

E’ ovvio che portare avanti un contenzioso con l’A.F. sapendo già di avere poche possibilità di successo e quindi, di ottenere un giudicato favorevole, è una opzione sicuramente non percorribile o meglio non consigliabile. In tal caso, trovandosi già sub judice converrà avvalersi dei benefici che la normativa dispone in sede conciliativa.

 

-Il ruolo dell’avvocato tributarista nella scelta degli istituti deflattivi del contenzioso tributario a tutela dell’impresa:

 

In uno  scenario in cui, come abbiamo visto, è  prevista la possibilità di attivare di molteplici canali conciliativi con l’A.F  applicabili nelle  diverse fasi che caratterizzano l’attività impositiva in senso ampio; vale a dire, nella fase pre- accertativa, in quella accertativa in senso stretto nonché in quella più avanzata quella giudiziale, il ruolo dell’avvocato tributarista è quanto mai fondamentale poichè conoscitore non solo degli aspetti meramente tecnici e procedurali che regolano il processo  tributario ma poichè conoscitore del diritto sostanziale che disciplina il complicato mondo dei tributi.

Ritengo che nella imprescindibile esigenza di dovere tutelare gli interessi di un impresa destinataria di una richiesta erariale da parte dell’A.F. la scelta di un istituto deflattivo piuttosto che un altro dovrà essere necessariamente frutto di una decisione ragionata che non può prescindere da una duplice valutazione o meglio analisi:

  1. a) valutare la fondatezza della pretesa erariale mossa dall’ufficio impositore nei confronti del contribuente; o meglio verificare la qualità dell’attività accertativa espletata dall’ufficio nei confronti dell’impresa accertata;
  2. b) vagliare attentamente i rischi di una procedura di riscossione coattiva direttamente connessi alla tipologia di atto notificato al contribuente debitore nei confronti del fisco.

In altre parole, è necessario monitorare costantemente le probabilità o meglio la sussistenza di possibili condizioni che possano legittimare l’ente impositore ad attivare, previa rituale  iscrizione a ruolo della  debenza,  una procedura di riscossione coattiva  nei confronti dell’impresa, finalizzata ad assicurare all’ente impositore  l’esigibilità del credito.

Infatti, nel caso in cui l’impresa destinataria della pretesa impositiva azionata dall’ufficio erariale è raggiunta da un atto riscossivo (es:cartella di pagamento, pignoramento presso terzi, ipoteca immobiliare ecc.) ciò implica inevitabilmente una serie di “effetti discorsivi”  che non vanno assolutamente sottovalutati, quali:

– una inevitabile tensione con gli istituti di credito e con i fornitori;

– un immediato agire diretto alla tutela del credito da parte degli stessi creditori compreso ovviamente l’Erario e senza un coordinamento verso soluzioni di maggior interesse;

– il sorgere di rischi da parte dell’impresa  di compiere atti preferenziali o, comunque, revocabili con una reazione di prudenza da parte dei terzi che non facilita certo  l’attività dell’impresa;

l’affiorare del problema con il Fisco collegato alle responsabilità patrimoniali per gli atti compiuti dagli amministratori ricollegabile alla loro impreparazione nella gestione del debito;

– il pericolo da non escludere in una fase delicata per l’impresa, di compiere reati penalmente rilevanti di natura fallimentare,  nel caso in cui a seguito del debito tributario cumulato con altra debitoria dell’impresa possa portare quest’ultima ad optare per il fallimento o anche solo per il concordato preventivo;

– il rischio del blocco aziendale a causa di tensioni che possono venirsi a creare  con i lavoratori dipendenti e con gli stessi fornitori ben consci della debitoria della società;

– da ultimo, la probabilità che proprio in un momento in cui l’impresa necessita di  maggiore liquidità per far fronte al debito tributario, anche attraverso l’attivazione di ratei, il sistema bancario possa chiedere all’impresa il rientro da fidi inizialmente concessi.

Pertanto, a mio avviso, la scelta dell’istituto deflattivo da parte dell’avvocato tributarista tra quelli contemplati dalla normativa di riferimento  come sopra richiamata, non può prescindere dalla  duplice analisi riconducibile al binomio:  a)qualità dell’accertamento; b) pericolo di attivazione della riscossione coattiva che è  strettamente connessa alla tipologia di atto impositivo notificato e  a cui sono strettamente collegati tutti gli effetti distorsivi sopra richiamati che come già precisato   andranno  inevitabilmente a  minare gli equilibri patrimoniali dell’impresa già in difficoltà.

L’occhio attento del professionista incaricato lo porterà a propendere per una definizione stragiudiziale- conciliativa nel caso in cui il contribuente, diciamo, ha qualcosa da farsi perdonare in termini di evasione ed elusione dell’imposta, evitando così un inutile contenzioso in cui saranno elevate le probabilità di soccombenza della società, non escludendo che in caso di mancata concessione della tutela cautelare ( quanto meno per mancanza del fumus) già sub judice, l’AdeR  potrà iniziare la  procedura di riscossione coattiva del debito sia pure parziale con le conseguenze sopra descritte.

Diversamente, nel caso in cui appaiono illegittime nonché infondate le ragioni del Fisco per diverse possibili motivazioni di carattere formale ma anche sostanziale, in tal caso diversamente dalla prima ipotesi, il professionista  incaricato  potrà spingersi  per il proseguimento o, comunque, l’attivazione del giudizio tributario finalizzato ad ottenere un giudicato favorevole, pur  dovendo comunque considerare, non solo l’alea del giudizio che è quanto meno fisiologica per qualsiasi giudizio (tra cui anche quello tributario) ma, soprattutto bisognerà valutare attentamente anche  i limiti ben noti riconducibili alla giurisdizione tributaria in termini di competenza o meglio conoscenza del diritto tributario sostanziale  che come un male oscuro e atavico attanaglia non solo quella che è stata definita da tutti la quarta giurisdizione del nostro Paese, ma che caratterizza inevitabilmente  anche il lavoro degli operatori del diritto che con tale giurisdizione (tributariaa) si cimentano quotidianamente, tra cui ovviamente  l’avvocato tributarista chiamato ad un compito non facile: quello di essere portatore di un interesse altrui (quello del contribuente- impresa)  costretto purtroppo, ancora oggi,  a cimentarsi con un giudicante non all’altezza del tecnicismo che da sempre caratterizza la  branca del diritto tributario.

Napoli, 13/14 dicembre 2019