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Tutela cautelare. Possibile la condanna alle spese processuali in caso di infondatezza della domanda.

Una delle novità più interessanti in vigore dal 1° gennaio 2016 disposte dal D.lgs. n°156 del 24 settembre 2015 sulla la riforma del processo tributario è sicuramente quella che riguarda la possibilità di condanna alle spese processuali del ricorrente-istante in caso di rigetto o meglio infondatezza della richiesta di tutela cautelare presentata ai sensi dell’art.47 del D.lgs.n°546/1992 davanti al Giudice tributario. E’  quanto dispone l’art.15, comma 2-quater del D.lgs.n°546/1992 che disciplina il regime delle spese processuali con riferimento alla fase cautelare. Il presente articolo, partendo dal dato normativo, focalizza gli aspetti tecnici e procedurali riconducibili alla nuova previsione in commento che non mancherà di avere ripercussioni sostanziali in ambito processuale, costringendo i ricorrenti a valutare preliminarmente l’effettiva coesistenza di entrambi i presupposti a cui la previsione normativa di riferimento (art.47 del D.lgs n°546/1992) “subordina” la concessione della richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto opposto.

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-La richiesta di  sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. Art.47, comma 1 del D.lgs.n°546/1992.

Preliminarmente, rileva evidenziare come l’impianto normativo fondamentale riconducibile all’art.47 del D.lgs.n°546/1992 risulta pressoché immutato almeno nei tratti fondamentali e nei presupposti, ravvisabili nella possibilità per il ricorrente  di chiedere la sospensione dell’atto dal quale possa derivargli un danno grave ed irreparabile.

Tuttavia,   con riferimento all’istituto in commento non è possibile prescindere da un richiamo espresso alla  normativa di riferimento ed in particolar modo alla disciplina contenuta nel comma 1 dellart.47 del D.lgs.n°546/1992 il quale dispone testualmente: “il ricorrente, se dall’atto può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria, sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art.22.

Da una lettura testuale della previsione normativa in commento  si evince  la possibilità per il ricorrente-istante di poter chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto opposto, previa richiesta espressa inserita nel ricorso introduttivo o fatta con istanza separata successivamente alla presentazione del ricorso introduttivo.

I due presupposti imprescindibili a cui la norma sopra richiamata subordina  espressamente la possibilità di accoglimento della richiesta di sospensione denominata in senso tecnico “tutela cautelare” sono il fumus boni iuris ed il periculum in mora, ossia il danno grave ed irreparabile derivante dall’intimazione di pagamento oggetto dell’atto opposto. La normativa di riferimento sopra evidenziata  richiede necessariamente la sussistenza e la coesistenza di entrambi i  presupposti previsti ex lege; nel senso che, la mancanza anche di una sola delle condizioni che possono legittimare la paralisi dell’atto impugnato, preclude irrimediabilmente la possibilità di accoglimento della stessa, da parte del giudice tributario adito. In particolare, quando si parla di fumus boni iuris  si deve intendere la possibile fondatezza delle ragioni addotte dal ricorrente nel proprio atto di parte. In sostanza, da una prima valutazione sommaria delle ragioni addotte dal ricorrente, deve emergere un minimo di fondatezza nonché legittimità in ordine alle ragioni che hanno portato il ricorrente a chiedere l’annullamento totale o parziale dell’atto impositivo opposto. Il ridetto requisito può risultare in re ipsa alla luce di precedenti decisioni favorevoli al contribuente; oppure, in relazione a contestazioni attinenti  alla legittimità costituzionale di norme applicabili al caso specifico.

Volendo fare degli esempi, il fumus boni iuris non è ravvisabile in caso di mancata sottoscrizione del ricorso; oppure allorquando, la produzione di copia degli atti impugnati dai quali, stante la mancanza della data di notifica degli stessi, non è possibile verificare la tempestività del ricorso. Diversamente, casistiche  che possono  legittimare l’accoglimento della tutela cautelare, per esempio, sono  l’intervenuto fallimento del contribuente; oppure un’esposizione bancaria rilevante da cui è possibile evincere una chiara difficoltà economico- patrimoniale della persona fisica o della persona giuridica che ha presentato il ricorso introduttivo oppure un procedimento esecutivo in corso a carico del ricorrente.

Per quanto riguarda la seconda condizione espressamente richiesta dal menzionato art.47 del D.lgs.n°546/1992, vale a dire, il periculum in mora, ossia, il danno grave ed irreparabile lo stesso può dirsi configurabile allorquando dall’esecuzione dell’atto opposto derivi un pregiudizio economico irreversibile con conseguente inasprimento di una situazione patrimoniale preesistente già precaria.

In giurisprudenza è stato affermato che il danno grave ed irreparabile è configurabile  allorquando la situazione finanziaria della società sia tale (esibendo in giudizio ampia documentazione bancaria di riferimento)da pregiudicare irrimediabilmente la prosecuzione della modesta attività economica esercitata; oppure, nel caso in cui la passività preesistente di una società sia tale, per cui un ulteriore esborso di denaro causerebbe un inasprimento letale per la società stessa, implicando la necessità di modificare i piani previsionali dell’attività sociale ; ovvero, indebitamenti suscettibili di creare situazioni irreversibili.

E’ pacifico il fatto che la configurabilità (o meno) del danno grave ed irreparabile deve necessariamente essere valutato in considerazione delle specifiche condizioni economiche in cui versa il contribuente-ricorrente.

Nel senso che il quantum debeatur  indicato nell’atto opposto può risultare consistente anche se si tratta di mille euro nel caso in cui è rapportato ad un ricorrente rappresentato da un pensionato che vive della sua pensione sociale; per cui, il carico tributario in contestazione non è facilmente sostenibile.

Così come, un importo di quindicimila euro  può risultare modesto, e quindi non configurare il necessario danno grave ed irreparabile, se rapportato ad una società per azioni con un capitale sociale consistente.

La previsione normativa di cui all’art.47, comma 1 del D.lgs.n°546/1992 sopra richiamata non a caso  parla di istanza motivata; nel senso che, non può dirsi sufficiente per un possibile accoglimento della richiesta di tutela cautelare, la semplice esposizione dei fatti che legittimerebbero la coesistenza del fumus boniu iuris  e soprattutto del periculum in mora.  Ai sensi del comma 5 dell’art.47  il Comune impositore può segnalare al Collegio tributario la necessità di subordinare la sospensione parziale o totale dell’esecutività dell’atto di accertamento “alla presentazione  di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e nei termini indicati nel provvedimento”

E’ necessario, quindi, soprattutto relativamente al danno grave ed irreparabile che il ricorrente, in sede giudiziale  dia prova tangibile, quindi documentale della sussistenza del danno grave ed irreparabile rinveniente dall’atto impositivo opposto.

Proprio con riferimento a tale ultima circostanza, probabilmente trova la sua ratio l’ultima modifica apportata dal legislatore in sede di delega all’art47 del D.lgs.n°546/1992. Ossia, la possibilità prevista ex lege  con decorrenza 1° gennaio 2016, da parte del Collegio tributario adito, di disporre  a seguito dell’udienza preliminare cautelare, la condanna alle spese processuali a carico del ricorrente- istante qualora la richiesta di tutela cautelare riferita all’atto opposto risulti palesemente infondata oppure assolutamente non motivata per tabulas in deroga espressa a quanto dispone la normativa sopra richiamata, come meglio si dirà nei paragrafi che seguono.

Sempre con riferimento all’ istituto della tutela cautelare di cui  ci si occupa, non può essere taciuto che in attuazione del principio di delega enunciato nell’art.10, comma 1 lett. b), n°9 della legge n°23 del 2014, ossia l’uniformazione e la generalizzazione della tutela cautelare, sono state comunque apportate modifiche all’art.47 del D.lgs.n°546/1992 finalizzate essenzialmente  a disciplinare in maniera dettagliata e organica rispetto al passato l’istituto della sospensione, tanto degli atti  quanto delle sentenze, estendendo tale istituto  nel contempo a tutte la fasi processuali esperibili davanti ai Collegi tributari con l’aggiunta anche del giudizio davanti  alla  Corte di Cassazione in ottemperanza agli ultimi orientamenti giurisprudenziali che già stabilivano tale possibilità.

– La sospensione amministrativa nel processo tributario.

Sempre in tema di sospensione dell’esecuzione dell’atto opposto rileva evidenziare un altro istituto operante in altra giurisdizione, quella amministrativa. In particolare, la previsione normativa di cui all’art.39 del D.P.R. n°602/1973 dispone espressamente:

 “ il ricorso contro il ruolo di cui all’art.19 del D.lgs.n°546/1992, non sospende la riscossione; tuttavia, l’ufficio delle entrate o il centro di servizio ha facoltà di disporla in tutto o in parte fino alla data di pubblicazione della sentenza della commissione tributaria provinciale, con provvedimento motivato notificato al concessionario e al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la  riscossione”.  

Dalla lettura testuale della norma sopra richiamata, si evince in modo chiaro  la possibilità di potere ottenere la sospensione dell’atto impositivo opposto anche in sede amministrativa.

E’ fatta salva la possibilità per il contribuente di scegliere la forma di sospensiva per lui più conveniente, tenendo però in debita considerazione che la sospensiva richiesta in sede giudiziale ex art.47 del D.lgs.n°546/1992 paralizza gli effetti del’atto opposto ab origine; mentre quella amministrativa prevista dall’art.39, comma 1 del D.P.R. n°602/1973 interviene soltanto in una fase successiva rispetto alla notifica dell’atto presupposto; vale a dire in piena fase di riscossione coattiva. E’ di tutta evidenza però che la previsione normativa di cui al richiamato art.39 del D.P.R. n°602/1973 si riferisce essenzialmente alla possibilità di sospensione in fase di riscossione degli atti riconducibili a tributi essenzialmente erariali vantati dall’Amministrazione finanziaria. Non è una previsione che riguarda espressamente il novero della fiscalità locale riconducibile ai comuni impositori.

Tuttavia, in merito alla suddetta modalità di sospensiva rileva evidenziare che la devoluzione del potere della sospensiva ai giudici tributari ex art.47 ha coinciso con un ridimensionamento del ruolo dell’Intendenza di finanza, ancorchè tra il piano giudiziario e quello amministrativo  non ci sono ragioni di incompatibilità. In altre parole, è possibile sostenere che la possibilità di richiesta di tutela cautelare in sede tributaria  non contrasta né, possiamo dire sia incompatibile con la possibilità di sospensione in sede amministrativa; del resto, è un dato oggettivo il fatto che la previsione normativa di cui al richiamato art.47 del D.lgs.n°546/1992 convive con altre preesistenti disposizioni.

 

–  Condanna alle spese processuali in caso di infondatezza della richiesta cautelare.  L’Art.15 comma 2-quater del D.lgs.n°546/1992.

Passando ad analizzare la novità ultima apportata dal legislatore in materia di tutela cautelare, come già segnalato in sede di premessa, dal 1° gennaio 2016  il D.lgs.n°156/2015 con riferimento alla possibilità di richiesta di tutela cautelare riferita all’atto opposto ha previsto la  possibilità che il giudice tributario adito disponga la condanna alle spese processuali riferite alla sola udienza preliminare-cautelare  nel caso in cui risulti  evidentemente infondata o non motivata per tabulas  la richiesta di sospensione cautelare con riferimento sia al fumus ma in particolare modo  al danno grave ed irreparabile ossia al cosiddetto periculum in mora.

In particolare, l’esito della sospensione  dovrà essere comunicata  in udienza immediatamente alla parti. Poiché questa ordinanza non è un atto impugnabile, la parte che intende contestare la condanna alle spese per il giudizio cautelare dovrà necessariamente attendere la sentenza di merito che può anche giungere a conclusioni differenti, nel senso che potrebbe verificarsi il caso che a seguito dell’udienza preliminare- cautelare il giudice tributario rigetti la richiesta di sospensione dell’atto opposto con condanna alle relative spese processuali; mentre, relativamente al merito accolga i motivi di doglianza del ricorrente. E’ questa la ratio per cui l’obbligo di pagare e spese processuali riferita alla tutela cautelare sorge dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha disposto nel merito.

Il comma 2 quater del già richiamato art.15 del D.lgs.n°546/1992 risponde sostanzialmente all’esigenza di evitare  un uso strumentale del contenzioso  e in particolare, un abuso delle richieste di tutela cautelare. In particolare la ridetta previsione normativa dispone infatti che la statuzione delle spese processuali  deve essere riferita anche alla fase cautelare preliminare rispetto al merito e contenuta pertanto  nell’ordinanza non impugnabile con cui il giudice decide in ordine all’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto opposto o di sospensione dell’esecutività provvisoria della sentenza impugnata con appello o con ricorso per cassazione, ai sensi  rispettivamente degli artt.47, 52, 62 bis Nota Vedi Circ. n°38 /E del 29/12/2015).

Si deve ritenere ancora che la mancata possibilità di impugnare lì ordinanza con la quale il giudice tributario dispone il pagamento delle spese processuali relativamente alla fase cautelare, non possa costituire un limite alla tutela della parte eventualmente dichiarata soccombente in ordine alle stesse spese riferite alla fase cautelare.

Il Collegio tributario, come già segnalato, a  seguito dell’udienza di merito, ha comunque la possibilità di disporre diversamente in ordine alle spese processuali relative alla fase cautelare nel provvedimento finale adottato a seguito della trattazione del merito. In tal caso, la sentenza finale che ha definito la questione di merito assorbe anche l’ordinanza sia sotto il profilo cautelare che nella disposizione sulle spese di lite.

Pertanto, in considerazione delle novelle sopra richiamate,  dal 1° gennaio 2016 nel momento in cui si decide di presentare contestualmente al ricorso introduttivo oppure con istanza separata ex post ,una richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto che si intende opporre, è necessaroi valutare preliminarmente la configurabilità o meno delle condizioni richieste espressamente dalla norma  (fumus boni iuris e periculum in mora)   a  cui si è già fatto cenno sopra; non solo, rileva valutare attentamente, ad avviso di chi scrive, la possibilità di potere provare per tabulas   in sede giudiziale, non tanto il fumus quanto soprattutto  il periculum in mora, ossia il danno grave ed irreparabile  che subirebbe il ricorrente-istante a seguito del pagamento del quantum debeatur intimato dall’atto opposto.

Non solo perché lo impone l’art.2697 c.c. in termini di onere probatorio a carico di chi vuole fare valere un diritto in sede giudiziale, ma, anche e soprattutto perché lo richiede espressamente lo stesso art.47 comma 1 del D.lgs.n°546/1992 dove si parla chiaramente  di “istanza motivata”.

In mancanza, al fine di evitare la soccombenza processuael, non solo in termini di rigetto della richiesta cautelare ma anche in termini di spese processuali riferite alla sola udienza preliminare a cui poi potranno aggiungersi le spese processuali  relative al merito (implicando ciò una doppia condanna alle spese processali)  converrà puntare unicamente sulla questione di merito, desistendo dalla possibilità di richiedere la sospensione dell’atto opposto.

 

Avv. Giuseppe DURANTE